mercoledì 2 aprile 2008

UNA CHIESA APPRENDISTA

Commento alla lettura biblica - domenica 6 aprile 2008

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Luca 24, 13-35).



Quando Luca scriveva questa pagina, con la penna di un grande narratore e con il cuore di un discepolo appassionato, si era prefisso di trasmettere un messaggio preciso: "Il Maestro, il Nazareno non ci ha lasciati soli. Nel nostro cammino quotidiano e attorno alla mensa del pane lo possiamo incontrare, anzi ci viene incontro".

Non abbiamo bisogno di ripeterci che ci troviamo di fronte ad un quadro teologico più che ad una cronaca. L'altissima verità di questo caldissimo racconto sta nel suo significato.

Certo, i protagonisti sono Gesù e i due discepoli, ma il testo in modo evidente fa emergere una caratteristica che attraversa tutto il racconto, dalla prima riga all'ultima: tutto succede "nel viaggio", "mentre erano in cammino", "lungo il viaggio", "lungo la via". La strada è l'altra protagonista di questa pagina evangelica. Tutto succede mentre si è sulla strada, in cammino.

La strada

La strada nella mia vita occupa un posto molto importante. Mi piace camminare già fin di buon mattino quando lascio casa mia e vado alla sede della comunità: due chilometri che danno un po' di ossigeno e mi rimettono in moto l'organismo tra sole, aria, pioggia... e gente. Il sorriso, il saluto, i volti, le parole, i racconti... ecco ciò che vivo nella strada.

Ecco perchè mi piace sentirmi "appiedato" quando posso permettermelo e non sono costretto, per impegni fuori città, a salire sul treno o farmi scarrozzare sull'auto. Ma questo amore per la strada ha alcune parentele spirituali che riconducono alle sorgenti bibliche della mia fede.

Quante strade nella Bibbia

Leggendo e rileggendo la Bibbia, il Primo e il Secondo Testamento, è tutto un camminare, un fare strada, un andare, un ripartire...

Dalla partenza di Abramo (Genesi 12) al cammino di Israele verso la terra promessa, dal viaggio doloroso verso l'esilio al rientro in Palestina, la strada è compagna della storia di Israele. I profeti amano uscire e fanno della strada il luogo principale dei loro incontri e della loro predicazione.

Gesù, come il suo maestro Giovanni il Battezzatore, fece della strada il luogo dell'incontro, dell'amore che aiuta i più deboli, dell'insegnamento, del dialogo, della sua personale conversione, incontrando la donna siro-fenicia, il centurione, l'adultera...

E pensiamo all'apostolo Paolo: un instancabile "agente di viaggio del regno di Dio". Ma la strada è talmente esperienza centrale nel movimento originario di Gesù che i discepoli del nazareno vengono chiamati "seguaci della via" (Atti 9,2; 19,9 e 23; 24,14 ecc.).

Seguire Gesù è una via, non una dottrina. Anzi Gesù stesso è "la via" (Giovanni 14,6) che conduce al Padre.

La strada luogo di conversione

Ma la strada, esperienza e metafora dell'incontro, dell'esposizione e dell'immersione diretta nella realtà, è anche l'immagine di questa necessità di non fermarci al già acquisito, di non di non chiuderci nelle nostre case, di non fasciarci di sicurezze o di certezze come per difenderci dai problemi del mondo.

La strada, con tutto ciò che essa comporta nella realtà e nella metafora, è il luogo in cui Dio ci raggiunge con segni, voci, presenze che ci invitano a conversione. Nella mia vita è proprio successo così.

La strada, cioè il cammino quotidiano dentro i fatti e in compagnia delle persone, con le gioie, le tensioni, le incomprensioni, le sofferenze e i panorami molteplici dell'esistenza, da molti anni mi sta cambiando la vita.

Se la polvere della strada, con i suoi intoppi e le sue incertezze, con le sue fermate e le sue "persone ferite", non ci tocca, noi rischiamo di "farci la nostra vita", di ritagliarci i nostri spazi, ma perdiamo la sintonia con la realtà della carovana umana, specialmente con i passeggeri delle ultime carrozze. Un viaggio tra i "buoni, belle e sani" è la maniera più sicura per naufragare nella noia, per seppellirci nel narcisismo, per non capire nulla della storia.

La strada è il luogo in cui, come Gesù, possiamo incontrare le "cattive compagnie" che ancora sanno gridare, sognare, esprimere il desiderio di un mondo altro, resistere, piangere ed abbracciare.

Nella strada riceviamo, impariamo, rivediamo, apriamo gli occhi e il cuore. Nella strada ci liberiamo dalla "sindrome del donatore - salvatore - maestro", che tanto spesso caratterizza noi cristiani, per diventare dei semplici viandanti e compagni di viaggio, animati dal seme evangelico seminato nei nostri cuori.

Quelli che nel giudizio comune sono i "perduti/e", gli "irregolari", gli "esclusi dai sacramenti", i malconci, i peccatori, sono quelli che davvero mi danno stimoli a crescere come uomo, come prete, come cristiano. La loro compagnia mi scalda il cuore e mi parla di Dio più di tutte le biblioteche di questo mondo.

La stessa lettura della Bibbia, se non si ascoltano le voci e il grido delle periferie e dei "sotterranei della storia", diventa presto una esercitazione retorica ed intimistica.

Penso spesso con gratitudine a Dio, a quella parte della chiesa che accetta i rischi, le incertezze, gli incidenti, gli errori, le fragilità, le gioie e i sogni che nascono nella carovana dei viandanti e non ha la pretesa di dirigere il cammino, ma vuole vivere la compagnia e seminare lungo il percorso le parole e i segni dell'evangelo.

Una svolta: la conversione


La strada, il viaggio, il cammino danno stanchezza, ma rappresentano anche il movimento necessario alla vita. Le parole profetiche si spengono nella comunità cristiana quando diventiamo i custodi della ortodossia, i guardiani del sacro e allora la chiesa respira con un solo polmone.

Per giunta, per paura delle correnti del dubbio e per timore del dissenso, si chiudono le finestre e si sbarrano le porte. Anzichè promuovere il cammino, si cerca l'intruppamento, di fare strada come una legione romana. E allora il cammino unico divora gli altri cammini.

Per operare il passaggio da comunità assistite e governate dall'alto al protagonismo dei credenti, forse è necessario dirci con chiarezza che non c'è nessuna sacra autorità che eroga e dispensa pillole di verità senza doverla umilmente ed audacemente cercarla con altri.


Gesù maestro ed apprendista


I discepoli e le discepole avevano visto e imparato dal Nazareno questo atteggiamento profondo. Gesù era stato per loro un maestro e un apprendista. Mentre insegnava continuava ad imparare ...

Le due cose non stanno affatto in contraddizione.

Personalmente penso che un educatore, un genitore, un pastore, un animatore, un prete possano diventare dei maestri di vita solo se continuano ad imparare. Infatti, il giorno in cui si cessa di imparare e di cambiare noi stessi, non si ha più nulla da insegnare e da testimoniare.

"Ma abbiamo perso soprattutto la ricchezza dell'apprendimento. E' più facile per la chiesa ufficiale essere maestra che apprendista; si sente meglio quando detta massime morali che quando deve ascoltare dalla scienza qualche indicazione o ricevere da altre tradizioni religiose qualche arricchimento. Tuttavia, non esiste alcuna religione così perfetta da non avere nulla da ricevere, nè alcuna religione così povera da non poter dare qualcosa" (Joaquin Garcia Roca, in Adista 15/03/08).

Questa è la vera sciagura. Senza il calore delle mille voci, senza un cuore aperto all'apprendimento, al cambiamento, allo stupore e al nuovo che irrompe, molte delle nostre comunità si sono trasformate in frigoriferi degli affetti, in luoghi di cantilene dogmatiche, con la presunzione di essere il megafono di Dio.

E allora l'ossessione del relativismo e l'estromissione dei dissidenti ci spinge verso il ghetto che "come ha avvertito Rohner, è il pericolo permanente della chiesa. Che significa ghetto? E' scegliere di ripiegare in gruppi omogenei che praticano la ritirata difensiva di fronte alla complessità" (J.Garcia Roca).

Voci, voci, strade, strade...


Per uscire dalla "chiesa del silenzio del popolo" basta mettere più attenzione alle voci che vengono dalla ragione, dalla ricerca, dalle varie spiritualità e dalle lotte delle ultime e degli ultimi, cioè dall'esterno dell'istituzione ecclesiastica, e allora il nostro cuore tornerà ad ardere mentre il Nazareno ci parla lungo la strada. Senza questi ponti la chiesa resta dentro il mausoleo dei secoli passati.

Per dirla con Fernando Pessoa:
"Di tutto sono rimaste tre cose:
la certezza che stavo sempre cominciando,
la certezza che dovevo continuare,
la certezza che sarei stato interrotto prima di terminare.
Fare dell'interruzione un cammino nuovo,
della paura una scala,
del sogno un ponte,
della ricerca un incontro".

Tutto questo, o Dio di Gesù, con Te.

E se ci siamo fermati per la paura o ci siamo voltati indietro per invertire il cammino... facci riascoltare l'invito di Gesù a seguirlo con gioia e perseveranza.

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