Commento alla lettura biblica - domenica 6 luglio 2008
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». (Matteo 11, 25-30)
Scrivo queste note a strappi: un po' mentre sono in aeroporto a Roma in attesa dell'imbarco per Catania e un po' dopo la mezzanotte a Catania, nella casa di Dario che mi ha ospitato dopo il bellissimo incontro del Gay Pride su "Fede, laicità, omosessualità".
Sono annotazione "mosse", come è nella natura dei viaggi in questa Italia in cui al più sai quando parti e quasi mai quando arrivi.
Dunque, nella prima parte del capitolo 11 di Matteo, Gesù ha constatato con dolore che, davanti al suo messaggio, c'è chi non si lascia coinvolgere (16-19) e chi si chiude a riccio, non vuol né vedere, né sentire. Per Gesù, secondo la testimonianza di Matteo, non si tratta solo di una sorpresa, di una sofferenza, di uno scandalo. Nelle parole di Gesù si avverte un'indignazione, quella serena messa in guardia tipica del messaggio dei profeti.
La lezione di questa pagina evangelica, presente anche in Luca con pochissime varianti, è esplicita: abbiamo la possibilità di dire di no, possiamo chiudere i nostri occhi e il nostro cuore anche quando abbiamo capito. Forse proprio perché abbiamo compreso che il Vangelo ci chiama alla libertà e quindi alla responsabilità. Sono io, proprio io, che posso identificarmi nella parabola dei bambini capricciosi e nel rifiuto delle città della Galilea (vv. 20-24).
Ma ecco la svolta: pochi versetti dopo, nel testo che meditiamo oggi, Gesù loda Dio con tutta la fede del suo cuore ed esprime davanti a Lui e a quanti gli sono intorno la sua gioiosa e straripante meraviglia. Quello che i primi invitati al banchetto del Regno, i saggi e i grandi non capiscono, è invece chiaro ai "piccoli" della comunità e della società.
È talmente radicale e visibile la cecità dei "sapienti e degli intelligenti" che secondo Matteo, con un frasario biblico duro ed efficace, è Dio stesso che ha nascosto loro queste cose ed ha invece deciso di renderle chiare e manifeste ai "piccoli".
Se apparteniamo ai sapienti e agli intelligenti, stiamo un po' attenti perché potemmo essere quei ciechi che, credendo di vedere, sono prigionieri dell'auto-illusione religiosa.
Farci piccoli, stare dalla parte dei piccoli, ascoltare e imparare dalla loro vita è, e resta, la condizione indispensabile per fare un cammino sulla strada di Gesù.
Scriveva Ernesto Balducci: "Finché i piccoli saranno esclusi dalla Chiesa, è chiaro che è in pericolo la conoscenza di Dio. Non è in pericolo solo la carità, è in pericolo la conoscenza di Dio... Coloro con cui Gesù polemizzava, parlavano sempre di Dio ma non conoscevano i misteri del Regno. I misteri del Regno riguardano il futuro del mondo, secondo il disegno di Dio. E il futuro del mondo è il futuro messianico che si realizza contro la legge della carne. Convertirsi vuol dire per noi addossarci, con tutta la sincerità, il peso degli esclusi, degli ultimi: modellare in noi una intelligenza, una coscienza che sia solidale con loro".
Non ci viene chiesto di buttare al macero la nostra biblioteca o di dimenticare le nostre esperienze, ma di "giocare tutte le nostre carte" dalla parte degli ultimi e delle ultime e di farci piccoli mediante gesti concreti di solidarietà e così riconoscere la nostra piccolezza.
La comunità di Matteo, nel versetto 27 usa un linguaggio che sembra assolutizzare la missione di Gesù. È il "codice enfatico" di chi ha scoperto la grandezza profetica del suo maestro, dal quale sarebbe però tragico e fuorviante dedurre che solo Gesù è la via che conduce al Padre. Gesù non ha mai preteso di avere il monopolio dell'accesso a Dio e il monopolio della fede.
Invertire la rotta
Non ci sfuggano gli ultimi tre versetti. Mentre sovente l'educazione cattolica ha caricato di pesi la vita di tante persone già affaticate, stanche e oppresse, qui Gesù vuole dare riposo ai cuori e ai corpi. Sono versetti che non si possono leggere una sola volta. Viene la voglia di rileggerli. Gesù vede la fatica di vivere dei poveri che incontrava e vuole alleggerire i pesi.
Vuole che la fede in Dio renda la vita più "riposata". Vuole soprattutto che la fede non imponga gioghi, legalismi, ossessione di regole, sensi di colpa. È la religione, non la fede, quella che ha devastato la vita già pesante di milioni di donne, di separati e divorziati, di gay, lesbiche e transessuali...
Se la fede non dà "riposo ai cuori", se non spalanca sentieri di fiducia, si presenta in religione legalistica.
Sì, il cammino con Gesù profuma tenerezza e ispira fiducia anche nelle ore della difficoltà.
È questa "predicazione" che spesso manca nelle nostre comunità e che dobbiamo riscoprire perché spesso abbiamo tolto i pesi dai ricchi e li abbiamo caricati ai deboli. L'ho sentito riferire con onestà e chiarezza anche al Gay Pride di Catania dove una mamma dell'Agedo (Associazione dei genitori di figli omosessuali) mi ha raccontato come sia difficile anche solo essere ascoltati nella chiesa locale.
Se ha un senso essere chiesa oggi, ciò significa deporre i potenti che opprimono dai troni e far scendere dalla croce i crocifissi. Questa, tradotta in scelte piccole e quotidiane, non è forse la "vocazione" cristiana?
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