sabato 25 ottobre 2008

C’È ANCORA BISOGNO E VOGLIA DI COMUNITÀ?

Leggo la domanda con un senso preciso, cioè rivolta al bisogno e alla volontà (non voglia) di fare comunità di fede, comunità cristiana.

Altre volte ho svolto su questo tema alcune riflessioni teologiche. Oggi vorrei molto semplicemente raccontare come questo interrogativo ha fatto parte della mia vita e si è tradotto in un esperienza.

Il dono della comunità cristiana

Gettando lo sguardo all'indietro, sono pieno di gratitudine verso Dio e verso tante persone. Nell'infanzia vedevo uomini e donne (anni 1945-1946) lavorare insieme per "fare gli scavi" e gettare le fondamenta dell'edificio chiesa. Lo fecero per otto/nove mesi il sabato e la domenica. Allora la mia parrocchia aveva solo una chiesetta di legno. Anna, una donna dolcissima (mentre era parroco un tipo spaventa passeri), era la catechista che ci parlava di un Dio che io immaginavo e percepivo più tenero e più bello ancora di lei. Era il messaggio che ricevevo anche in casa.

Poi ci fu il tempo del seminario. Lì, in quei lunghi anni di preparazione al ministero, imperversava un cattolicesimo dottrinario di stampo tridentino, fatto di dogmi e di verità assolute. Ma in quegli anni, pur dentro questo recinto papalino, incontrai dei testimoni del Vangelo. C'erano tra i miei "superiori" alcuni preti che vivevano la fede con straordinario coinvolgimento e con altrettanta coerenza. Furono per me dei maestri di vita.

Lì percepii la fede nella dimensione comunitaria, e il rapporto personale con Dio cresceva di pari passo con la formazione alla socialità. La testimonianza di questi fratelli era una fede gioiosa, impegnativa, ma priva di senso di colpa. Il loro entusiasmo mi contagiava. La loro dedizione mi indicava un cammino umile e sereno.

Debbo in gran parte a queste persone se "percepii" Dio come una presenza amante, un Dio caldo, una sorgente generosa di acqua, di frescura e di vitalità.

Raccolsi come un dono questo grappolo di testimonianze che mi accesero un fuoco nel cuore. Quando mi colpì una grave forma di tubercolosi, il rettore del seminario mi disse: "Non andrai nel seminario dei preti e dei seminaristi ad Arco di Trento, ma nel sanatorio che è qui nella nostra zona. Ti farà bene stare con la gente…".

Ho raccontato questo "percorso" per dire come tanto, tantissimo mi è stato donato. L'esperienza e la volontà di comunità mi è stata testimoniata e donata.

Il passaggio successivo

Questo dono mi facilitò quando, appena prete, il giorno 8 dicembre 1963 demmo vita al gruppo ecumenico e biblico "Geremia 7" e la Parola che cercavamo nelle Scritture, nella vita e nella preghiera fu come uno spirito ad entrare nel bel mezzo delle lotte del '68/ '69…

Modalità comunitarie diverse che molti di noi vissero in gruppi, parrocchie e comunità cristiane di base, ma per me fu sempre evidente che la sequela di Gesù sollecita una risposta personale ma, nello stesso tempo, si vive in un contesto comunitario.

Comunità deriva da "cum munus" = una impresa, un compito, una responsabilità, un cammino da vivere insieme.

Oggi più che mai sento che diventare discepoli di Gesù è la dimensione che sta al centro della mia vita.

In comunità, nella comunità cristiana, non cerco amici e amiche, ma fratelli e sorelle che, secondo le diverse individualità e culture, tentano nel confronto di seguire la strada di Gesù nel nostro oggi. La comunità, oggi, per me, non è il luogo in cui cerco il confronto sulla cultura, sulla politica… A volte succede, ma nella comunità cerco in primo luogo il pozzo della Parola di Dio, il confronto sui nostri percorsi di fede, l'educazione alla preghiera e l'esperienza della preghiera, gli strumenti per leggere le Scritture.

Gli amici li scelgo, i fratelli e le sorelle li trovo. Per approfondire la mia riflessione e la mia pratica politica trovo personalmente luoghi più adatti, dove avviare un confronto a volte più proficuo e profondo.

Oggi

Penso che ognuno/a di noi compie un suo percorso. Oggi mi rallegro quando vedo la capacità di "fare comunità" e cerco di lavorare là dove mi sembra più utile accompagnare dei fratelli e delle sorelle verso l'autogestione comunitaria.

Mi sembra di constatare che oggi fare comunità sia un dono da vivere ancora più intensamente e diffusamente in modo ecumenico, aperto. Nel libretto "Il dono dello smarrimento" scrivevo: "Nel dialogo tra culture e religioni diverse a me preme in modo particolare evitare l'equivoco di un confronto talmente irenico da annullare la possibilità del conflitto oppure la tentazione di dissolvere la propria identità storica nel mondo delle apparenze in un generico teismo. Per me è essenziale, proprio per riconoscere e rispettare l'alterità dell'altro, ripensare ma non immolare o annebbiare la propria identità, né illudersi di poter proporre un metalinguaggio che assimili e porti ad unità le diverse tradizioni religiose".

Il nostro essere e dirci cristiani/e può diventare anche un servizio reso alla "comunità umana" nella irriducibile e conviviale differenza dei mille e mille percorsi.

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