Si narra che nel periodo dell'espansione islamica verso l'India, alcuni indù vollero portare in dono un elefante ai nuovi potenti e al loro capo, il califfo, che viveva nella lontana capitale di quel grande impero. Giunti a destinazione, la curiosità degli abitanti era grande: nessuno sapeva veramente come fosse quell'animale di cui si era molto favoleggiato. L'animale, giunto di nascosto, venne chiuso in una grande scuderia alle porte della città. Nottetempo, alcuni intraprendenti e coraggiosi, non riuscendo a trattenere la curiosità, vollero andare a veder come fosse davvero quel fantastico animale, e si introdussero nel locale. E così, nel buio, per non essere scoperti presero a cercare l'elefante, affidandosi alla sola forma di conoscenza loro disponibile, quella che per noi è un'espressione proverbiale che vorrebbe indicare l'assoluta evidenza delle cose: toccare con mano. Poi, tornati fuori, raccontarono ai più pavidi, rimasti ad attenderli, di cosa si trattasse. Il primo, che aveva toccato una zampa, disse che l'elefante era come una colonna, o un troco rugoso e forte. Il secondo, che aveva toccato un orecchio, disse che era come un grande ventaglio, mobile ed elevato. Un terso, che si era imbattuto nella proboscide, disse che era come una grossa corda, che si muoveva sospesa a mezz'aria. Un altro, avendogli toccato la schiena, disse che era come un grande e solido trono, forse una roccia, chissà. Così ognuno dava la propria versione dell'elefante secondo la parte che egli stesso aveva toccato e interpretato. Così è del mistero di Dio, ogni religione ne svela solo una parte.
Insegnamento sufi