La lunga conversazione di Umberto De Giovannangeli con Abraham Bet Yehoshua,
comparsa su L'Unità del 3 agosto merita attenzione e non piace certo al governo
israeliano: "Altro che cancellare la Nakba (= catastrofe). Con i palestinesi
noi israeliani abbiamo una debito eterno. Noi, in quanto vittime del microbo
nazista, dobbiamo essere portatori degli anticorpi di questa malattia tremenda
da cui ogni popolo può essere affetto e in quanto portatori di anticorpi
dobbiamo innanzitutto curare il rapporto con noi stessi. Poiché dietro di noi c'
è una sofferenza così terribile, potremmo essere indifferenti a ogni sofferenza
meno violenta della nostra".
Chi ha molto sofferto – rileva Yehoshua – "può non rendersi conto del dolore
degli altri, e questo è un comportamento del tutto naturale. Come alfieri dell'
antinazismo dobbiamo acuire la nostra sensibilità e non diminuirla. Perché
dobbiamo ricordarci che il fatto di essere stati vittime non è sufficiente per
conferirci uno status morale. La vittima non diventa morale in quanto vittima.
L'Olocausto al di là delle azioni turpi nei nostri confronti non ci ha dato un
diploma di eterna rettitudine. Ha reso immorali gli assassini, ma non ha reso
morali le vittime. Per essere morale, bisogna compiere degli atti morali e per
questo affrontiamo degli esami quotidiani".
Una riflessione che Yehsohua ha sempre posto al centro del suo impegno
intellettuale e politico. E che lo porta oggi a dire che "Negare l'identità
dell'altro da sé è una prova di debolezza oltre che d'ingiustizia". Tanto più
ora che una legge cancella la Nabka, la "catastrofe" che per gli arabi fu la
nascita dello stato di Israele.