venerdì 30 aprile 2010

GRANDI MANIPOLATORI

Attorno alla figura di monsignor Romero, a 30 anni dalla sua morte per assassinio, si fanno "commemorazioni" perverse, per ricuperarlo all'istituzione cattolica ufficiale che lo lasciò solo e lo abbandonò, in piena complicità con coloro che lo uccisero.

"Ed eccolo qui il Romero che si vorrebbe "non manipolato". Delgado lo dipinge come un uomo dalla salute cagionevole e psicologicamente un po' instabile, ma reso forte da un intenso amore per la Vergine Maria e una totale obbedienza al magistero dei papi. E ne evidenzia la spiritualità preconciliare, una pratica religiosa centrata sull'amore per Gesù, per la Vergine Maria e per la Chiesa. Ma Delgado è in buona compagnia. Secondo Rafael Urrutia, attuale vicario generale di San Salvador ciò che caratterizzava Romero era "la sua grande preoccupazione di evangelizzare il popolo di Dio per muoverlo alla conversione".  E una carità "nutrita senza dubbio della vita di preghiera, della vita sacramentale, delle devozioni private al Sacro Cuore di Gesù e alla Vergine Maria, dell'amore per la Chiesa". Definendo "un'ingiusta semplificazione" quella di chi parla "della conversione di mons. Romero nei suoi ultimi tre anni di vita da arcivescovo", Sàenz Lacalle spiega che "il Servo di Dio ha sempre vissuto, dai suoi primi anni di sacerdozio, la sua conversione come un'esperienza di fede cristiana, con un profondo senso di abbandono in Dio e nella Chiesa di Cristo mediante una vita spirituale matura e profonda, radicata nella carità pastorale, che è il cammino specifico di santità per qualunque sacerdote".
Andrea Riccardi, sul Corriere della sera (24/3), lo descrive equidistante dal potere militare e dalla guerriglia, impegnato a respingere "le semplificazioni laceranti per cui o  si stava dalla parte dell'ordine o del popolo", e ciò in linea con quanto mons. Vincenzo Paglia, postulatore della causa di beatificazione dell'arcivescovo, scriveva a proposito di Romero due anni fa sull'Osservatore Romano (che in occasione del XXX anniversario ha invece preferito tacere): che, cioè, l'arcivescovo era "avverso sia alla violenza espressa dal governo militare sia a quella espressa dall'opposizione guerrigliera", che tentava "di porre rimedio alla violenza condannandola da qualunque parte venisse" e che "non mutò mai parere" sul fatto "che il comunismo fosse da condannare" (Adista 24 aprile).

Farlo "santo"? Che offesa, che miserabile operazione gerarchica!! Io penso che essere dichiarati santi da questa chiesa gerarchica sia un'offesa, una bestemmia, una falsificazione. Chi corre questo rischio di essere abusato spiritualmente con la "canonizzazione", dovrebbe aggiungere una "nota" nel suo testamento: nessuno si permetta di dichiararmi santo".