Questa serata di semplice dialogo e confronto può essere una buona occasione per parlare e capire che non siamo i soli ad avere dei dubbi, delle incertezze. Ci troveremo con Franco Barbero, che introdurrà l’incontro, per una chiacchierata su:
“La testimonianza di Gesù nella vita di oggi”
Giovedì 17 giugno alle 20,45 nei locali della parrocchia.
Vi aspettiamo numerosi !
Il bisogno di conoscere meglio Gesù detto il Cristo, che ha così profondamente influenzato la storia del mondo, è diffuso anche fra chi non lo ritiene il “figlio di Dio”.
Gli esperti dell’argomento dicono quasi unanimi che l’inizio della moderna ricerca su Gesù risale al 1778, anno in cui venne pubblicato, postumo, un saggio di Hermann Reimarus, un professore di Amburgo di lingue orientali che si intitolava Dello scopo di Gesù e dei suoi discepoli. In quelle pagine Reimarus descriveva Gesù come un profeta politico, ucciso per questo dagli occupanti romani, la cui salma era stata trafugata dai seguaci, che cominciarono a costruire su di lui un mito. Credibile o no che fosse la sua ricostruzione, Reimarus ebbe il merito di far notare per la prima volta con grande nettezza le notevoli differenze esistenti fra il Gesù storico e il Cristo della fede. Dopo di lui la ricerca non s’è più fermata.
Il pensatore e teologo Rudolf Bultmann, protestante, sostiene, per esempio, che la visione del mondo contenuta nel Nuovo Testamento è completamente mitologica e che, nonostante questo, non c’è un solo passo nei ventisette testi che lo compongono in cui Gesù sia chiamato Dio. Unica eccezione quella in cui Tommaso si rivolge a Gesù con l’invocazione “Mio Signore e mio Dio” (Gv. 20,28).
Paul Tillich, un altro teologo tedesco, protestante, avanzò l’ipotesi che il tentativo di scoprire chi fosse il vero Gesù s’era risolto in un fallimento, ma che la cosa aveva una rilevanza relativa dal momento che la vera importanza del Cristo è di essere diventato simbolo che conduce a una nuova forma di esistenza.
Si arrivò in questo modo ad avere studiosi che sostenevano ipotesi opposte: secondo alcuni, importanti sono il Cristo, il suo messaggio, il suo esempio, il suo sacrificio, non la religione (tanto meno le Chiese) che nel suo nome sono state fondate: altri invece, come Tillich, scrivono che è il cristianesimo ciò che conta, non le reali esperienze di Gesù, che restano per la gran parte indimostrabili.
Un altro punto del dibattito è stata la collocazione di Gesù nel contesto ebraico suo proprio. Per esempio, si è dimostrato con una certa facilità che i suoi insegnamenti morali non hanno niente di originale, essendo anzi profondamente radicati nella tradizione dell’ebraismo.
L’importanza della figura e la scarsità dei dati non spiegano però per intero l’accanimento e, si potrebbe dire, l’ansia con la quale il dibattito è proseguito e, com’è prevedibile, proseguirà.
Se molti uomini hanno influito, in misura maggiore o minore, sulla storia dell’umanità, nessuno però lo ha eguagliato.
La spiegazione di un fenomeno di tale imponenza è semplice per i cristiani: Gesù è il figlio di Dio fattosi uomo per redimere con il suo sacrificio i peccati del mondo. Gesù è il nuovo Adamo venuto a riscattare la debolezza dei progenitori dell’umanità e a stipulare una nuova Alleanza fra Dio e il genere umano. Con quale ardimento blasfemo si pretenderebbe dunque di tracciare la biografia di un essere che, per la sua stessa natura, sfugge e trascende ogni possibile definizione? Le interpretazioni dei fatti e delle parole che gli vengono attribuite non sono forse infinite, come infiniti sono la sapienza e il potere divini? Per qualunque cristiano il discorso può finire a questo punto.
E per i non cristiani? Dov’è, per chi non fa parte della comunità cristiana, il mistero, l’enigma irrisolto di Gesù? Ovvero, ribaltando la domanda, fino a che punto è possibile conoscere la vita, le parole, le azioni di questo grande uomo? Grande, appunto, però uomo? Ripetendo per la terza volta la domanda, in una forma ancora diversa: è possibile parlare di Gesù e raccontarlo come un qualunque altro protagonista della storia, prescindendo cioè dalla sua “divinità”?
Comunque si giri la domanda, la risposta è complessa.
Quando si esce da una visione di pura fede del fenomeno Gesù, la scarsità delle fonti e la loro contraddittorietà, la manipolazione profonda che hanno subito nel corso dei secoli, di cui gli esegeti possono scorgere la traccia senza poter ricostruire l’originale, contribuiscono ad aumentare divisioni e interpretazioni. D’altronde, molte persone “credono” senza il bisogno di riflettere sulla propria fede; in altri casi essere cresciuti in un ambiente in cui la fede è data per scontata facilita un’adesione acritica, l’abbandono a quella immensa consolazione che la fede sicuramente rappresenta.
Ogni religione, ciascuna a suo modo, ripone l’ultima e più alta speranza in una realtà trascendente e benevola, efficace antidoto alla durezza, alle ingiustizie, al male profondo e spesso ingiustificato della vita. Nel cristianesimo questa suprema salvezza è affidata alla figura di Gesù. È difficile concepire il volto di Dio, per gli ebrei è addirittura impensabile e blasfemo tentare di raffigurarlo. Per i cristiani invece, il fatto che un vero Dio sia stato per un certo numero di anni anche un vero uomo, con una madre, un padre (anche se “putativo”), una casa e un mestiere, rende molto più accessibile la divinità.
Sbaglia chi definisce “infantile” questo modo di credere, chi lo considera un rimedio in fondo facile, addirittura una via di comoda fuga dalle asperità della vita. In termini religiosi si può dire, al contrario, che questo tipo di fede è sicuramente un dono. Ed è proprio tale “dono” grande e ingenuo che viene messo a repentaglio dalla cosiddetta modernità, che vuol dire comunicazioni, confronto, scambi più frequenti, più rapidi, fra stili di vita e fra religioni diverse.
È possibile sapere chi era l’uomo che circa duemila anni fa percorse la terra d’Israele, parlò alle folle, guarì gli ammalati, lanciò un messaggio che mai prima d’allora era stato concepito e finì straziato su un patibolo infame? L’uomo, nella sua fisicità di carne, sangue, muscoli, e lo sguardo, la parola, il gesto benedicente o violento, a volte, prima che la liturgia, la dottrina, il mito trasformassero la sua memoria in un culto, il culto in una fede, la fede in una delle grandi religioni dell’umanità.
La ricerca storica non compromette la fede, ma neppure obbliga a credere. Certo, a volte mette in crisi alcuni aspetti dell’immagine confessionale di Gesù, ma questo porta a una riformulazione della fede, più che a una sua negazione.
Nella più diffusa immaginazione popolare Gesù innova in modo radicale l’immagine di Dio. Semplificando molto le cose possiamo dire che l’immagine del vecchio Dio biblico è quella di un Dio lontano e severo, implacabile nelle sue decisioni. Gesù, al contrario, incarna l’immagine non solo del redentore, ma più profondamente l’immagine di un Dio buono, generoso, comprensivo verso i difetti degli uomini, pronto più a soccorrerli che a giudicarli. Soprattutto, per la prima volta in una religione, Gesù si china verso i poveri, gli emarginati, gli ammalati, gli “ultimi”, erigendoli a protagonisti della storia umana come mai nessuno aveva fatto prima.
La misericordia è il segno distintivo del suo messaggio. Ma che cosa vuol dire misericordia? La misericordia si può conciliare con l’esercizio di una dottrina, l’esistenza di una gerarchia?
Alcune pagine dei Fratelli Karamazov rendono in modo potente questo aspetto del lascito di Gesù. È
Io ti dico che non c’è per l’uomo preoccupazione più tormentosa di quella di trovare qualcuno al quale restituire, al più presto possibile, quel dono della libertà che il disgraziato ha avuto al momento di nascere… Tu hai scelto quello che c’è di più insolito, di più problematico, hai scelto tutto ciò che era superiore alle forze degli uomini, hai agito come se tu non li amassi affatto”.
Dopo la sua appassionata perorazione a difesa dell’autorità, l’inquisitore aspetta in silenzio che il prigioniero risponda. Gesù lo ha ascoltato fissandolo con il suo sguardo calmo e penetrante, senza obiettare. Il novantenne inquisitore vorrebbe che dicesse qualcosa, ma l’altro gli si avvicina in silenzio, lo bacia piano sulle labbra esangui. È la sua risposta. Il vecchio spalanca la porta, dice: “Vattene e non venir più… non venire mai più… mai più!”. Il prigioniero si allontana.
In questa scena potente lo scrittore russo contrappone due principi, si potrebbe dire due moralità: quella della misericordia, e quella della verità. Gesù è un portatore di misericordia, di carità. Nella scena famosa dell’adultera che sta per essere lapidata, dopo aver ammonito “Scagli la prima pietra chi è senza peccato”, egli si rivolge alla donna dicendole: “Neanch’io ti condanno”. Conclude con un’esortazione, non con un giudizio: “Va’ e non peccare più”. Questa è la carità, che è diversa e concettualmente opposta alla verità.
Gesù è ossessionato dal male che domina il mondo. La malattia devastante dei poveri, la straziata vita dei bambini nei ceti sociali più umiliati, l’incomprensibile morte di persone sotto il crollo di un edificio, le ingiuste stragi dei romani. Per lui Dio è il padre che può salvare e che gli ha dato il potere straordinario di risanare e guarire. Dio però gli appare anche incomprensibile. Per tutta la vita egli cerca di sapere che cosa Dio voglia; alla fine si sente abbandonato e non capisce perché Dio lo destini a una fine ingiusta, a una sconfitta umiliante oltre che a patimenti atroci. A Lui attribuisce la sua sconfitta e per questo la accetta, pur non comprendendola. Gesù non ha una visione consolante, ottimistica. Il Dio che egli ha conosciuto è un padre amoroso e onnipotente, che però lo ha stritolato, abbandonandolo alle potenze del male. Gesù non è un filosofo, non elabora teorie sulla presenza o assenza di Dio. Ha però una visione complessa e fortemente drammatica. Egli intuisce, e lo dice esplicitamente, che non c’è solo la potenza benefica di Dio nel mondo. C’è anche quella di Satana e dei suoi angeli malvagi. Dio ha intrapreso una lotta contro Satana e contro il male, deciso a vincerla. Gesù crede che, a questo fine, Dio gli abbia affidato un compito e un potere. Sogna un regno di Dio futuro in cui avrà finalmente trionfato la giustizia, un regno millenario di benessere, di sazietà per gli affamati, di riconciliazione e di amicizia anche con le forze della natura. È il regno di Dio appunto, dal quale Satana, il principe di questo mondo, sarà scacciato per sempre. È questo il sogno che mette in azione le coscienze.
Nulla è più lontano di una teodicea (giustizia di Dio) consolante e meschina dalla percezione che Gesù ha del mondo e della forza di Dio. Il mondo è teatro di una lotta violentissima e incomprensibile. Ma Gesù continua a credere che Dio sia forte, potente e benefico, anche se permette che venga ucciso.
I risultati della ricerca storica su Gesù in Italia sono poco noti. Sono più diffusi interpretazioni confessionali e innumerevoli libri devozionali che propongono un’immagine semplificata e banale di Gesù, quasi che i fedeli non abbiano bisogno di interrogarsi sulla verità storica. Ci sono poi libri scandalistici, frutto di un atteggiamento antiecclesiastico, scritti da persone con una scarsa preparazione sull’argomento. Alcuni continuano a sostenere la tesi, priva di qualsiasi fondamento, secondo la quale Gesù non sarebbe mai esistito. Altri danno credito a certi scritti apocrifi, negando quasi per principio ogni attendibilità ai testi canonici o alle affermazioni delle Chiese.
Il fatto è che negli ultimi trent’anni si sono verificati grandi mutamenti nell’indagine su Gesù e sulle origini cristiane. Sono state pubblicate decine di libri importanti sulla sua figura storica e migliaia di contributi scientifici. Una seconda novità è l’opera di esegesi sistematica sui testi non canonici dei primi secoli.
La ricerca storica rigorosa non allontana dalla fede, ma non spinge neppure verso di essa. Una cosa è cercare Gesù per ottenere benefici di salvezza o, al contrario, per criticare e combattere la fede delle Chiese. Tutt’altra cosa è tentare di conoscere storicamente ciò che Gesù ha in effetti detto, fatto, sperimentato e creduto. C’è chi critica gli specialisti perché in perpetuo dibattito gli uni con gli altri e perché i loro risultati appaiono sempre provvisori. Meglio sarebbe basarsi sulle certezze di una fede assoluta o, all’opposto, sul rifiuto deciso di ogni questione religiosa, un modo anche questo per chiudere una volta per tutte il problema. Al contrario, una caratteristica umana irrinunciabile è quella di mettere sempre in gioco le proprie convinzioni sulla base di acquisizioni nuove, senza pregiudizi verso le opinioni degli altri, ma cercando di chiedere loro quali siano le basi razionali dei rispettivi convincimenti. Come insegna Socrate, si tratta di spiegare le proprie ragioni ma di chiedere che anche gli altri lo facciano. Altrimenti il pericolo del fondamentalismo o dell’intolleranza è alle porte.
In grande sintesi Gesù era un ebreo che non voleva fondare una nuova religione. Non era un cristiano. Era convinto che il Dio delle Sacre Scritture ebraiche stesse cominciando a trasformare il mondo per instaurare finalmente il suo regno sulla terra. Era del tutto concentrato su Dio e pregava per capire la sua volontà e ottenere le sue rivelazioni, ma era anche del tutto concentrato sui bisogni degli uomini, in particolare i malati, i più poveri e coloro che erano trattati in modo ingiusto. Il suo messaggio era inscindibilmente mistico e sociale.
Il regno di Dio non venne e, anzi, egli fu messo a morte dai romani per motivi politici. I suoi discepoli, che provenivano da ambienti i più vari, ne diedero fin dall’inizio interpretazioni differenti. Si interrogarono sulla sua morte fornendo spiegazioni diverse e molti di loro si convinsero che egli fosse risuscitato. Un certo numero di suoi seguaci rimase dentro le comunità ebraiche, mentre altri diedero vita a una nuova religione percorsa da diverse correnti, il cristianesimo.
Speriamo che, di fronte alla presentazione di tante affermazioni e ipotesi storiche, le persone siano spinte ad allargare la propria conoscenza e a leggere direttamente opere che forse non conoscono. Quanto più aumenta la consapevolezza storica, tanto più si rinvigoriscono il pensiero critico e la vita democratica di un paese, e i fondamentalismi di qualunque tipo dimostrano la propria debolezza culturale e la devastazione mentale che operano. Anche chi non è uno specialista può farsi un’idea personale. Ma ciò può avvenire solo a determinate condizioni.
In primo luogo, bisogna leggere sintesi storiche serie. Occorre poi consultare direttamente tutti i vangeli, canonici e non canonici, sulla base di buone traduzioni e buoni commenti. Soprattutto, bisogna leggere i vangeli con la consapevolezza che l’uno non deve essere letto alla luce dell’altro, perché ognuno trasmette una diversa visione dei fatti. È necessario fare grande attenzione alle differenze. Inoltre, bisogna sempre ricordare che, fin dall’inizio, sono state date interpretazioni diverse di Gesù. In principio c’è la diversità: non un solo cristianesimo, ma molti cristianesimi. Del resto le cose stanno così ancora oggi. Anche per le altre religioni.
Liberamente tratto da “Inchiesta su Gesù” di Mauro Pesce e Corrado Augias