Certo non avranno rimosso interrogativi e problemi i discepoli; invece spesso ci pare di cogliere nel trionfalismo della chiesa di Roma, purtroppo anche in questi momenti indubbiamente difficili, una volontà di distrarre, di deproblematizzare piuttosto che un coraggioso ripensamento collettivo, sinodale, come si dice nel linguaggio ecclesiale. Non mancano nella chiesa capacità di pensare, rifiuto di privilegi e compromessi, coraggio di denuncia e azione anche di frontiera: ma sono posizioni viste con sospetto, quando non represse, certo non sollecitate nè incoraggiate, se non in termini retorici e molto generici.
Si sollecitano invece consensi per il potere politico e si incoraggiano i pellegrinaggi, quasi che l'essere cattolici si manifestasse in piazza san Pietro, a Torino o a san Giovanni Rotondo e non nel cercare informazione, nel non farsi ingannare dal potere, nel rimouvere complicità, nell'usare un linguaggio franco, nello schierarsi al fianco di chi cerca la pace e sostiene i poveri. Mentre i richiami a cambiamenti negli stili di vita, perfino quando suggeriti dallo stesso papa, sono del tutto accantonati: ridurrebbero gli acquisti e forse chiederebbero conto di che cosa si fa del denaro pubblico, metterebbero in discussione la gestione del potere.
Eppure solo chi davvero vive una continua ricerca di fraternità, di sincerità, di partecipazione, di coraggio, con tutte le inquietudini che pone l'insicurezza dell'esistenza, e i dubbi che non risparmia l'apertura al mistero, potrà avere la ventura di sentire rivolte anche a sè le inattese, imprevedibili parole ascoltate, il giorno dopo il sabato, dalle donne di fronte al sepolcro vuoto: "Perchè cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!".
(da Il Gallo, giugno 2010)