domenica 26 settembre 2010

PERCHE' PREGARE , COME PREGARE (A CURA DI SILVIA AIRAUDO)

Finora ci si domandava: “Che cos’è la preghiera?”. Oggi tutto d’un tratto ci si domanda: “Preghiamo ancora?”… non sappiamo più se preghiamo, e neppure se la preghiera è ancora possibile. Forse troppo facile prima, essa sembra oggi incredibilmente difficile. Oggi, come pregare, dove pregare?

Occorre subito ammettere che, ieri come oggi, il pregare non è cosa facile per il cristiano: le difficoltà relative alla preghiera non costituiscono una novità per i credenti, che sovente provano malessere nel rapportarsi ad essa. Non è un caso che già i primi discepoli abbiano avvertito il bisogno di ricevere un’istruzione sulla preghiera, giungendo a chiedere a Gesù: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc. 11,1)…

Ora, al di là degli ostacoli particolari che le diverse epoche storiche fanno emergere a proposito della preghiera cristiana, essa è per sua natura un problema: la preghiera, infatti, è un’operazione che non va da sé, perché non corrisponde a un’attività naturale dell’uomo, né può essere posta sotto i segni riduttivi della spontaneità emotiva o dell’esoterica ricerca di tecniche di meditazione. Al contrario, lungi dall’essere il frutto del naturale senso di autotrascendenza dell’uomo o del suo innato “senso religioso”, la preghiera appare, secondo la rivelazione biblica, come dono, cioè come risposta dell’uomo alla decisione prioritaria e gratuita di Dio di entrare in relazione con lui. Insomma, la preghiera è un movimento di apertura alla comunione con Dio nello spazio dell’alleanza con Lui.

Va detto, inoltre, che le difficoltà della preghiera cristiana ci rimandano immediatamente alle difficoltà concernenti la fede. È significativo che oggi la difficoltà più diffusa non verta tanto sul come pregare, ma sul perché pregare e che, di conseguenza, si assista ad una sorta di eclisse della preghiera personale.

Oggi è proprio la preghiera personale ad essere maggiormente trascurata, e questa situazione rischia a lungo termine di svuotare anche la verità della stessa preghiera liturgica. Se nella pastorale molti sforzi sono dedicati all’iniziazione liturgica, purtroppo non sono accompagnati da un’adeguata trasmissione della preghiera personale, che dovrebbe essere insegnata fin dall’infanzia. Chi, infatti, non riceve fin da piccolo un’iniziazione alla preghiera personale da parte dei genitori o degli educatori, difficilmente potrà nutrirsene nell’età matura, in modo da accrescere la fede nel Dio vivente, presente nell’esistenza quotidiana.

Il malessere nei confronti della preghiera dipende anche dallo scetticismo nei confronti della possibilità di esaurimento della richiesta. Spesso si dice: “Ho pregato tanto, ma non è cambiato nulla”…

Fine della preghiera è ottenere che noi facciamo la volontà di Dio, non che Dio faccia la nostra: non le nostre preghiere trasformano il disegno di amore di Dio su di noi, ma sono i doni che Dio concede nella preghiera a trasformare noi e a metterci in sintonia con la sua volontà!

La preghiera cristiana è innanzitutto ascolto. Dove non è ben chiaro il primato dell’ascolto di Dio, la preghiera tende a diventare un’attività umana ed è costretta a nutrirsi di atti e formule, in cui il singolo cerca la propria soddisfazione e assicurazione: diventa la manifestazione di un’arroganza spirituale.

 

Oggi siamo particolarmente sensibili al fatto che la preghiera comporta una serie di condizioni contraddette dagli attuali ritmi della vita quotidiana. Ai nostri giorni è più che mai faticoso rimanere nel silenzio, esigenza umana ben prima che spirituale, necessaria per ridare unità al proprio essere che rischia la dissipazione nell’eccesso di parole e di suoni disarmonici; è difficile rimanere nella solitudine, fermi per un certo tempo e in uno stesso luogo; è difficile accettare l’inattività del tempo dedicato alla preghiera. Sembra quasi una follia, nella civiltà del rumore e dell’immagine, vivere l’atteggiamento di chi si apre a discernere una Presenza silenziosa e invisibile, eppure capace di scrutare i sentimenti e i pensieri del cuore.

La difficoltà più frequente in cui ci si imbatte a proposito della preghiera è quella della presunta mancanza di tempo. In parte questo è vero: la vita odierna, soprattutto quella urbana, è segnata dalla velocità, da ritmi lavorativi frenetici e da impegni molteplici, che certamente non sono più quelli dell’antico tempo biblico o anche solo di alcune generazioni precedenti alla nostra.

E, tuttavia, occorre denunciare che la mancanza di tempo è quasi sempre un alibi, una cattiva scusa: è risaputo, per esempio, che sono molte le ore passate dai credenti davanti alla televisione o a Internet. D’altra parte, resta vero che noi uomini troviamo sempre il tempo per ciò che ci sta realmente a cuore. L’aspetto della disciplina del tempo non è dunque marginale, ma è centrale per la preghiera. Senza la scelta di un ritmo e di tempi adatti non è possibile pregare: occorre darsi dei tempi prefissati e restarvi fedeli, in modo da pregare non solo quando se ne ha voglia, quando ci si sente emozionalmente di farlo. La preghiera è la fatica di ogni giorno, è il cibo quotidiano per la vita nello Spirito.

Avere distrazioni fa parte della psiche, e ci vuole molto esercizio per imparare a concentrarsi unificando i pensieri, la mente, il cuore e il corpo: è questa un’operazione di maturità e di igiene umane, prima ancora di essere un’operazione spirituale.

La nostra preghiera resterà sempre una lotta per giungere ad amare di più e meglio chi vive accanto a noi, giorno dopo giorno. per questo non dovremo mai stancarci di chiedere al Signore: “Insegnaci a pregare”, fino al giorno in cui egli scoprirà per noi il suo volto e saremo da lui giudicati solo sull’amore: l’amore che avremo saputo accogliere e donare.

(Liberamente tratto dal libro “Perché pregare, come pregare” di Enzo Bianchi)