venerdì 26 novembre 2010

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA

Il regno di giustizia, non il natale

 “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà” (Matteo 24,37-44).

 
 

La liturgia cattolica, un po’ come le vetrine delle nostre città, ormai con la prima domenica di avvento invita a guardare al natale di Gesù.

Io guardo altrove. Il nostro natale è diventato una “benedizione” del nostro sistema politico, culturale e religioso in cui contano solo il denaro, l’immagine e la prepotenza.

Condivido pienamente ciò che scrive don Aldo Antonelli su Adista del 6 novembre:

“Mi si perdoni, ma come non rilevare una vena di ipocrisia anche nella contestualizzazione di questo brano nella liturgia della prima domenica di Avvento, là dove l’attesa non è rivolta, comunemente, alla venuta (Avvento) del Regno, bensì al Natale di Gesù Cristo, come se il Cristo non fosse già nato, non fosse già vissuto e non avesse parlato ed operato! Cosicché quello che dovrebbe essere un messaggio da adulti, a che facciano scelte ardite per un futuro di pace, si riduce a sostanziarsi in una festa da “bambini” che accende la fantasia e spegne la profezia”.

Proprio così… Tutti ci vogliono “bambini” obbedienti, in visita ai presepi meccanici, davanti al panettone e allo spumante, a pancia piena davanti alla TV, magari anche per la solenne benedizione augurale del papa. E poi i viaggi in paesi lontani…dopo aver dato qualche moneta per i poverelli. Non sto calpestando momenti di sincera e fattiva solidarietà o di costruttivi incontri familiari. No, sto solo denunciando quel clima di alta glicemia spirituale che ci acceca, ci culla e ci addormenta.

Non è la leggenda teologica della nascita di Gesù (che è nato in una comune e numerosa famiglia ebrea dall’amore di Maria e Giuseppe, con tutta probabilità a Nazaret) che mi interessa. Ciò che è decisivo per la mia fede è ciò che il nazareno ha fatto, praticato e insegnato. A natale noi ci soffermiamo divagando tra angeli, la stalla, i pastori, il bue e l’asinello e così presi in braccio e cullati da una predicazione rutinaria e moralistica che tenta di coprire quel vuoto di contenuto evangelico che si percepisce ovunque. Lo sfolgorio delle luci è il segnale più evidente delle tenebre in cui siamo avvolti.

Uno scossone, anzi due

Le letture di oggi, colte nella loro forza e nella loro concretezza, non ci spingono affatto ad aspettare il bambinello Gesù e a guardare alla “capanna di Betlemme”. Matteo ci svela una tragica possibilità: nel ritmo e nella scansione della esistenza quotidiana possiamo “non accorgerci di nulla” (versetto 39) e così buttare via la nostra vita. C’è un solo rimedio: “vegliare” (v. 42) ed “essere pronti” (v. 44).

E’ l’esatto opposto della “politica del Natale”. Anziché avvelenarci nell’evasione, cogliere qualche momento e qualche giorno di tregua e di riposo per risvegliare i nostri occhi e la nostra attenzione sulla realtà in cui viviamo.

 

 

Lasciamo al papa le benedizioni urbi et orbi, alla città e al mondo. Ne possiamo fare a meno.

Ben altro ci è richiesto. Ce lo dice il testo del profeta Isaia che, nel contesto culturale del suo tempo, sogna e promette un mondo disarmato.

“Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Isaia 2, 4).

Parole di fuoco, che bruciano come paglia i principi delle politiche guerrafondaie che in questi ultimi anni hanno ripreso vigore e potenza; nel contempo fanno razzia delle accortezze prudenziali della Chiesa silente e benedicente.

Questa dovrebbe essere una dignitosa predicazione cristiana, mille miglia lontana dalle banalità natalizie ormai vere e proprie ninna nanna delle coscienze.

“E’ ormai tempo che vi svegliate dal sonno”, scrive Paolo ai romani (13, 11).

In questo tempo di corruzione, di ipocrisie, di una chiesa prostituta del potere e adoratrice del denaro e del privilegio, occorre che ciascuno/a di noi colga l’invito accorato e concreto delle Scritture che oggi leggiamo. Aiutiamoci a vigilare, ridestiamoci dal sonno dell’indifferenza, dello sconforto e della paura.

Non c’è da attendere una nuova nascita di Gesù o una sua seconda venuta. “Gesù viene sempre” nel senso che il suo messaggio e la sua chiamata sorgono da ogni parte, se noi non siamo addormentati, distratti o avvolti negli svolazzi angelici. Ogni giorno ringrazio Dio perché, nelle situazioni più diverse, ci sono uomini e donne che “ascoltano il grido” e non si lasciano deviare dalle false luci.

 

Grazie o Dio

grazie, o Dio, perché non ti stanchi di invitarci a nascere e a rinascere, a svegliarci dai sonni della irresponsabilità.

Quando la nostra fede ritornerà a risuonare nelle vie del mondo come un appello alla libertà e alla giustizia?