mercoledì 24 novembre 2010

IL RICORDO DI MAURO UGHETTO, UN GRANDE AMICO

Ha scritto Alberto nella sua lettera di commiato dalla vita pubblica :”…un unico filo conduttore mi ha guidato nell’espletamento di funzioni che richiedevano responsabilità diverse, nello scorrere degli anni e delle stagioni politiche: ho sempre concepito e vissuto la politica e l’insegnamento come servizio per il bene collettivo, a partire dai più deboli; servizio che andava ricercato e perseguito al di là degli stessi schieramenti politici…”.

 Sono parole sobrie, chiare, definitive. Sono parole che condensano una vita.

E’ il suo testamento, la sua eredità.

E’ infatti sempre rimasto ancorato a quella esortazione di un Anonimo che recita così : “Si può essere pessimisti riguardo ai tempi e alle circostanze, riguardo alle sorti di un paese o di una classe, ma non si può essere pessimisti riguardo all’Uomo”.

 Alla morte si addice il raccoglimento, la commozione intima di coloro che sono più vicini, il silenzio”. E’ per questo che non voglio fare un discorso commemorativo, per evitare ritualità formali e accenti retorici lontanissimi dalla sensibilità e dalla cultura di Alberto.

 Voglio però dire alcune cose perché se le merita e vanno ricordate in questa occasione che è anche un incontro speciale con i suoi amici e le sue amiche.

E’ stato un gran camminatore.

 Ha percorso instancabile strade di città e sentieri di montagna, librerie e biblioteche, aule e corridoi, enti ed istituzioni.

 In questo suo andare da passista ha incontrato persone, ha traversato molti destini, ambienti e cambiamenti sfidando appartenenze e incrinando sicurezze di comodo.

 

Nello zaino ha portato una tenace voglia di conoscenza sostenuta da una intelligenza aperta alla storia e alle storie.

 La meta era sempre la stessa: essere più vicini e più fraterni al mondo inquieto e ferito, costruire una società più giusta perché nel rivendicare la dignità di uomini liberi si arriva a toccare la nuda verità della vita.

 

Ha scritto Luigi Pintor: “Più di tutto contano le cose quotidiane che articolano la vita e le danno continuità. Sono cose innumerevoli che incalzano sempre più velocemente col consumarsi degli anni, dei mesi , dei giorni. Mettere ordine, progettare, distrarre, frequentare persone, luoghi e stagioni, e poi accompagnare e sorreggere quando le forze sono venute meno e il corpo si ripiega su se stesso. Non c’è in una intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi”.

 

 

E’ stato un buon sindaco, competente e impegnato con dedizione disinteressata in una attività nella quale ha messo “cuore, testa e tempo”.

 

Ha vissuto il suo essere sindaco non come un’onorificenza ma come una camminata in più, per scoprire facce e situazioni della città inaspettate, per essere in cordata con altri e condividere insieme la fatica di gestire i problemi comuni e la bellezza di tentare di risolverli.

   Si possono fare di quel decennio tanti bilanci da prospettive diverse ma al di là di ogni considerazione emerge con nettezza un valore, oggi un po’ fuori conio, assunto come guida di condotta: l’onestà.

L’onestà come dirittura morale e rigore etico soprattutto per chi svolge mansioni pubbliche nella prospettiva del servizio da rendere al bene collettivo, l’onestà come caratteristica intellettuale che apre al confronto e ad un dialogo sempre ricercato perché tutti, uomini e donne, di fedi e provenienze diverse, siano accolti e possano esprimere paritariamente i loro diritti di cittadinanza.

 

Con questa laica impostazione impregnata di gratuità nei suoi mandati amministrativi ha onorato il lascito ideale di una Repubblica e di una Costituzione nate dalla Resistenza.

 

 

E’ stato per molti e molte di noi un amico, “fedele alle amicizie”.

 

Con naturale riserbo ci ha fatto compagnia nello scorrere degli anni e  “dei nostri giorni in fuga”, coltivando le comuni sintonie di fondo senza mai arrendersi al cinismo della storia o dare per perduta la speranza delle nostre vite.

 

E anche quando affiorava qualche stanchezza o la disillusione rendeva più affannoso il cammino, la sua sollecitudine , discreta, invitava a ricominciare, a riannodare la trama sfilacciata.

 Io credo che continueremo in qualche modo e da qualche parte ad incontrarci, a parlarci e a discutere.

 

Voglio salutarlo con una poesia,”un canto ultimo” di un prete che stimava, David Maria Turoldo :

  Quando avrò dalla mia cella

salutato gli amici e il sole

e si alzerà la notte,

finalmente

saldato il conto,

campane

suonate a distesa:

la porta è da tempo

segnata dal sangue

pronte le erbe amare

e il pane azzimo:

allora andremo leggeri nel vento.