Gigi Ferraro racconta la convivenza con il morbo che colpisce il sistema nervoso. Il mio corpo è come un fortino assediato: prendo I I pillole al giorno
La mia vita con il Parkinson. Non mi arrendo e guardo al futuro.
Gigi Ferraro
Era la primavera del 2002 e avevo compiuto sessant'anni. Avevo notato che la mia grafia era cambiata: scrivevo sempre più piccolo e riuscivo a capire la ragione di questa alterazione. In quei giorni mi rimproverò - un po' sopra le righe per la verità - la cassiera deIl'ufficio della Gec di via Valoria dove mi ero recato a pagare l'Ici, perché faticava a leggere gli importi scritti sui bollettini.
Prenotai una visita specialistica presso l'ospedale di Saluzzo. Mi visitò un giovane medico simpatico e cordiale. Gli dissi la ragione della mia visita. Parlammo un po' mentre mi osservava mi fece scrivere e fare quattro passi ...
La sua sentenza fu rapida, chiara e senza appello: "Lei ha il morbo di Parkinson; non dovrebbe finire sulla sedia a rotelle; morirà verso gli anni ottanta per le conseguenze delle medicine sul cuore".
Le sue parole furono per me molto pesanti: come suonava male nella mia testa la parola "Parkinson"!
Non ne sapevo molto in proposito, ma capivo che nella mia vita si aprivano nuovi orizzonti. Finivano le belle stagioni e si incominciava un futuro di incognite e di problemi.
Andai all'ospedale di Savigliano cercando il medico che mi aveva visitato a Saluzzo: dopo un primo incontro, la volta successiva il dottore non c'era più: aveva ottenuto il trasferimento in un'altra Asl.
Poiché desideravo essere seguito con attenzione e continuità, mi recai a Pinerolo dove c'è un reparto all'avanguardia nel campo delle malattie del sistema nervoso.
Aderii all'Associazione italiana Parkinson: con la tessera di iscrizione mi arrivò un volume sulla materia. Andai subito a leggerne la parte finale perché volevo capire gli sviluppi della malattia e cosa questi avrebbero comportato nella mia vita. Scoprii che mi attendevano anni faticosi, ma compresi anche che era un settore medico in evoluzione, dove la ricerca per contrastare la malattia e l'introduzione di nuove medicine lasciavano bene sperare.
Da subito non andai più a correre nella collina saluzzese (una delle ultime volte che ero andato a fare footing ero caduto malamente). Fu una rinuncia che mi pesò abbastanza perché "era una vita" che percorrevo con notevoli benefici i sentieri collinari. Nonostante ciò la malattia era discretamente controllata e i miei ritmi di vita non avevano subito particolari variazioni.
La dottoressa Antonella Cordero per incoraggiarmi mi fece notare in occasione della morte di un noto insegnante di Saluzzo che aveva anche lui il Parkinson e che l'evoluzione della sua malattia era stata ben controllata grazie ai farmaci.
Il 2007 è l'anno che per me segna l'inizio del mio peggioramento. Non tengo un diario, ma dall'elenco delle camminate fatte in montagna ho constatato che proprio in quell'anno c'è stato un vero e proprio crollo delle passeggiate e della pratica dello sci da fondo nella stagione invernale.
Anche la mia "immagine' risente dell'evolversi della malattia: pur facendo ogni sforzo per contrastarne gli effetti negativi la mia postura è peggiorata.
La malattia ha ridotto notevolmente la mia capacità lavorativa. Non posso più frequentare locali affollati, non vado più a incontri e convegni ai quali per molti anni ho partecipato, non mi riesce più di andare a salutare i parenti dei deceduti e a partecipare a funerali.
Il dottor Carlo Doriguzzi che mi ha in cura, (un medico squisito, anche se è juventino) mi aveva somministrato il Cabaser un nuovo farmaco che aveva migliorato di molto il mio stato di salute. Peccato che poco dopo mi telefonò per dirmi di sospenderne immediatamente l'assunzione: era stato messo in commercio senza la necessaria sperimentazione e si era scoperto che aveva conseguenze negative sul cuore.
Un amico mi ha chiesto scherzoso quali conseguenze abbia avuto il Parkinson sulla mia vita sessuale. È un segreto che non voglio svelare, ma per non essere scortese, gli risposi che, per ciò che riguarda questo aspetto, mi pare calzassero bene i versi che, secondo Dante, sono scritti sulla porta dell'Inferno: "Lasciate ogni speranza ... ".
Peggioro lentamente nonostante assuma undici pastiglie al giorno, distribuite in modo preciso. Guai a dimenticarne una o a non essere puntuali nell'orario stabilito.
Uscendo di casa, capita di incontrarsi con altri malati: è l'occasione per scambiare notizie ed informazioni. Un amico, quando era stato operato al cuore, mi aveva detto: "Sapessi dopo l'intervento come è stato meraviglioso rivedere il verde dei prati e l'azzurro del cielo ... ". Di recente ci siamo scambiati le informazioni sulla nostra attuale condizione. È stato un po' in silenzio, poi mi ha commentato: "Ma sun quasi mei mi (sono quasi meglio io!)". E ci siamo fatti una risata consolatoria.
Per una persona, ora deceduta, il Parkinson era una vera croce: piangeva e si lamentava perché, mi diceva, era come lacerato, attraversato da un coltello. Mi chiesi più di una volta: è questo il futuro che mi attende?
II sistema nervoso diventa molto fragile e i sentimenti ne risentono. Quando il 31 maggio del 2008 il Toro è andato in serie B per me è stata una giornata pessima a livello emotivo. È stato, sotto tutti i punti di vista, un vero disastro, non riuscivo neppure a reggermi in piedi.
In generale sono molto più lento che in passato. Anni fa con Gigi Bollati eravamo saliti al Jervis in 55 minuti; ad agosto insieme alle nipotine Giovanna e Giulia siamo arrivati a metà strada, dove c'è la bella cascata, in un'ora e mezzo, con le bimbe (di 7 e 5 anni) che mi spronavano: "Forza nonno!".
A volte di notte per sbloccarmi vado nel bagno e al buio faccio ginnastica (come mi ha insegnato Giovanna Sabena fisioterapista dell 'ospedale) anche per mezz'ora.
La giornata per me è più corta: a volte nel pomeriggio non riesco a combinare nulla di buono e da un po' di tempo mi capita di incominciare a sudare abbondantemente ...
II mio corpo è come un fortino assediato: riceve qualche munizione per difendersi, ma il suo destino è segnato perché la difesa si fa sempre più debole e con il tempo la sconfitta è sicura. Ma, in fondo, non è questo il destino di tutti gli uomini?
Ho già citato nel volumetto: "Saluzzo anni '60" le parole di Vittorio Foa, che nel libro "Passaggi" (Ed. Einaudi 2000) scriveva: «Adesso, a novanta anni, perdo la vista, non leggo quasi più, sto malamente in piedi da solo, peso tutto su Sesa. Il nuovo secolo potrebbe presentarsi poco attraente. Ma non posso cedere alla tentazione di guardare il soffitto e lasci armi vivere finché dura. Quando si è vissuti cosÌ a lungo e così bene non si può abbandonare. Devo darmi un progetto».
Darsi un progetto, cercare di essere una persona viva pur uscendo poco di casa e non partecipando più alla vita pubblica cittadina: questo è proprio ciò che ho cercato di fare in questi anni, nonostante le difficoltà e le limitazioni della malattia.
Ho pubblicato due volumetti utili: "l posti diversi" e "Tracce del cammino". Ho collaborato - il mio contributo è stato minimo, ma presumo valido - con l'Associazione Biandrata a diverse iniziative culturali, a convegni e alla pubblicazione di tre volumi curati da Graziano Lingua e Sergio Carletto:
"Logos o uomo?", "La Trinità e l'antiCristo", "Cristianesimo senza roghi".
A maggio abbiamo organizzato il convegno su Michele Serveto e Giorgio Biandrata (con l'impegno in particolare di Sergio Carletto e Mariella Carena).
Sempre come Associazione Biandrata da dodici anni collaboriamo per la riuscita della manifestazione denominata "Attraverso la memoria" che si è realizzata negli ultimi anni grazie al grande impegno di Sandro Capellaro.
Quali "progetti" ho per il futuro? In testa mi frullano molte idee e diverse iniziative delle quali ho già parlato con alcuni amici. Spero con il loro aiuto di poterle portare avanti.
Per adesso - ed è importante - riesco ancora ad uscire di casa. La bicicletta è il bastone che mi aiuta a girare in Saluzzo, ad essere attivo, a realizzare qualche progetto.
Ho ben presente che ho sessantotto anni e mio padre quando morÌ ne aveva solamente cinquantotto. In ogni caso sono vissuto abbastanza bene e molto più a lungo di lui. Non devo lamentarmi troppo. Recentemente di Hans Kung (che è uno dei punti di riferimento della mia vita) ho letto il libro: "Ciò che credo" (Ed. Rizzoli).
Trattando della sofferenza e del dolore il teologo svizzero scrive: «L'elemento decisivo è alla fine del tutto diverso: che io, anche nelle situazioni limite, anche nella più grande difficoltà e nella più grande colpa, non disperi, che io non mi faccia mai prendere dalla disperazione, mai! O, per formulare lo stesso concetto al positivo, che mantenga sempre e fermamente la fiducia: una fiducia incrollabile, incondizionata, una fiducia nutrita dalla fede o una fede fiduciosa nella grazia di Dio».
Guardo al futuro con serenità e nei momenti difficili ho sempre trovato sulla mia strada, uomini e donne che mi sono stati vicino e mi hanno sostenuto.
È una malattia degenerativa. Caratteristiche: rigidità e tremori
Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale caratterizzata da rigidità muscolare, tremore e lentezza estrema dei movimenti. Deve il suo nome al medico inglese James Parkinson, che nel 1817 ne fece la prima dettagliata descrizione clinica definendola "paralisi agitante".
Colpisce raramente prima dei 50 anni di età: è dovuta ad uno stato degenerativo di alcune specifiche cellule nervose che compongono il sistema nervoso centrale. Si manifesta dapprima con sintomi subdoli e incostanti che successivamente divengono più consistenti; compare un tremore caratteristico più evidente a carico delle mani durante il riposo. In genera causa assenza della mimica facciale, aumento involontario delle secrezioni salivari, disturbi nella deambulazione: la persona si muove con il tronco piegato in avanti e a piccoli passi sempre più rigidi per poi arrestarsi improvvisamente come davanti ad un ostacolo; sono presenti anche disturbi della parola. Sembra colpire, in generale, più il sesso maschile rispetto a quello femminile e la sua incidenza nei paesi occidentali è di circa 360 persone ogni 100 mila. L'Organizzazione mondiale della sanità stima che in Europa ne sia colpito lo 0,5 per cento della popolazione, per un totale di circa un milione di persone. In Italia i malati sono circa 220 mila, con una media di 1.200 nuovi casi l'anno.