sabato 5 marzo 2011

UNO STIMOLANTE CONTRIBUTO DI ELVIO FASSONE

Per un’etica della politica

           Riteniamo necessario che il Partito Democratico si renda chiaramente riconoscibile dai suoi potenziali elettori facendo proprio un messaggio fondamentale: l'assunzione come prioritaria della questione morale.

            Essa deve venir declinata nelle due accezioni essenziali:

-        al suo interno, come organizzazione del partito, nel senso di etica politica;

-        all'esterno, come proposta politica, nel senso di equità sociale.   

 

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            Etica politica

            Il Paese ha bisogno di riscoprire una nuova etica della politica.  Il ceto politico continua ad attribuirsi privilegi sempre meno accettabili.  La diffusione dei metodi clientelari sembra contagiare, sia pure in misura diversa, tutte le forze politiche.  La compra-vendita di parlamentari, o comunque il cambio indecoroso di appartenenza, non ha risparmiato neppure persone elette dal PD. La qualità, la probità e la competenza di gran parte della classe politica si rivelano sempre più scadenti, ed alimentano la disaffezione dei cittadini.

            Tutto ciò ripropone con forza l’importanza della “questione morale” sul piano deontologico, la necessità di proposte concrete al riguardo, e l’esigenza di una mobilitazione nei confronti dei partiti, almeno quelli che si può presumere siano disposti a farsene carico.

            Pur nella consapevolezza che gli interventi legislativi non sono sufficienti, da soli, a sanare un problema di costume, essi possono esprimere un orientamento e, a medio termine, anche una guida effettiva dei comportamenti.  Riteniamo perciò necessario che la forza politica alla quale guardiamo (e auspicabilmente anche altre) assumano le proposte che seguono come parte essenziale e qualificante del loro programma.

 

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            La qualificazione del personale politico

            Innanzi tutto occorre qualificare il personale politico, sia sotto il profilo della probità sia sotto quello della competenza;  ed occorre che il partito se ne faccia garante credibile.

            La legge elettorale vigente oggi consente alle segreterie dei partiti la selezione integrale dei parlamentari ed assegna loro un ruolo quasi sempre determinante per l’individuazione delle altre candidature.

            Ciò comporta la dequalificazione di una parte cospicua degli eletti, e uno svilimento nella percezione generale della politica, intesa come luogo di mestieranti, di torbidi affari e come l’unico mestiere per il quale non occorre una preparazione specifica.

            Riteniamo necessario che il Partito Democratico si impegni sui seguenti punti:

 

a)         Una seria e non ambigua battaglia per la modifica della legge elettorale vigente.

            Si ha spesso la sensazione che, al di là della condanna di facciata del c.d. “porcellum”, anche al PD non dispiaccia di poter disporre di uno strumento che assicura le decisioni della classe politica operante:  la sensazione è avvalorata dalle modalità imposte ai livelli territoriali del partito nelle varie elezioni interne di questi ultimi tempi.

            Una chiara e netta richiesta di modifica della legge elettorale deve diventare una costante degli enunciati pubblici del partito.

 

b)         La pretesa di assoluta probità in capo ad ogni candidato.

            Oggi anche il requisito minimo richiesto per svolgere una funzione pubblica elevata - l’incensuratezza - è largamente accantonato, essendo notorio che a molte cariche elettive accedono anche persone inquisite e condannate.

            La legge può poco al riguardo.  La legge n. 55 del 1990 (e, subito dopo, la legge n. 16 del 1992, che la integrava), sanciva la non candidabilità di coloro che erano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati afferenti la pubblica amministrazione.  Tuttavia la Corte Costituzionale dichiarò illegittima questa previsione, in nome della presunzione di non colpevolezza, che opera sino al formarsi del giudicato (pronuncia n. 141 del 1996).  Poiché la sentenza definitiva giunge di regola dopo parecchi anni, questo consente anche a dei malfattori di far parte di assemblee elettive.

            Devono quindi essere i partiti ad operare quel filtro che la legge non può imporre se non tardivamente.  Per assicurare il minimo di moralità pubblica che si deve esigere, e nello stesso tempo per non privare dei diritti politici il cittadino che sia semplicemente indagato, i partiti possono svolgere questa funzione di garanzia assumendo l’impegno formale a non candidare, a qualsiasi carica pubblica, persone imputate di reati qualificati, la cui colpevolezza sia stata almeno delibata da un giudice e non solo da un pubblico ministero.

 

c)         La richiesta di competenza.

            Il candidato non deve essere solamente incensurato, ma deve poter assicurare una certa capacità e competenza a svolgere la funzione cui aspira.  La scarsa professionalità di molti eletti contribuisce gravemente a rendere le assemblee elettive subalterne agli organi di governo, e quindi ad alterare gli equilibri democratici.

            I partiti potranno recuperare una gran parte della credibilità oggi dispersa, se si faranno garanti della qualità delle persone che, loro tramite, intendono candidarsi a funzioni elettive.  E’ vivamente raccomandabile che essi espongano formalmente - previa ampia discussione con gli iscritti e con i simpatizzanti - una serie di parametri indicatori, dei quali i candidati dovranno possedere almeno taluni.

            A puro titolo di esempio, si possono addurre: l’assidua e fruttuosa partecipazione a corsi di formazione politica, confacenti al tipo di carica cui il soggetto aspira;  il documentato possesso di competenze in un settore nel quale la funzione dovrà essere esercitata; un’esperienza amministrativa di qualche consistenza o durata;   il conseguimento di risultati specifici nell’attività sino a quel momento esercitata;   altri eventuali, da definirsi attraverso un'ampia consultazione degli iscritti.

 

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            L'impegno contro i costi eccessivi della politica

 

            Riteniamo assolutamente necessario spezzare il circuito vizioso innescato dalla politica dispendiosa. 

            Le ultime elezioni del marzo 2010, hanno evidenziato un fenomeno già noto, ma ora assurto a dimensioni intollerabili: quello delle spese elettorali spropositate.  Le spese sempre più ingenti diventano il motivo pretestuoso per giustificare emolumenti sempre più elevati, gli unici che possano fronteggiarle.

            Questo, a sua volta, genera un’asimmetria tra i candidati che già svolgono funzioni pubbliche  altamente retribuite, e gli altri;  alimenta il professionismo della politica e la tendenziale inamovibilità;  incrementa il clientelismo; riduce il ricambio;  sottrae credibilità e consuma risorse altrimenti utili.

 

            Proponiamo pertanto di:

 

a)         porre un tetto alle spese elettorali  più severo di quello sancito dalla legge 515 del 1993;

            considerare rientranti in tale ammontare le spese comunque legate a fatti manifestazioni o  espressioni dai quali il candidato o il partito riceva beneficio, da chiunque gli esborsi siano sostenuti, e con qualunque accorgimento si tenti di aggirare il limite;

            sanzionare in modi efficaci la violazione dei limiti di legge, anche con l’ineleggibilità qualora lo sforamento superi un certo valore.

            L’esperienza ha dimostrato che il “tetto” alle spese è comunque illusorio, potendo sempre il candidato fare apparire una parte delle spese come direttamente sostenute dai suoi “amici”, e quindi non computabili nel suo bilancio.

            Si può pertanto ipotizzare una normativa che affidi ad un organo di controllo e di garanzia (già oggi esistente) il compito di esaminare - se del caso per sorteggio di un numero ristretto di candidati - l’insieme delle prestazioni elettorali delle quali egli ha comunque fruito;  e sanzioni l’inosservanza del “tetto” con una pena pecuniaria se lo sforamento è contenuto entro un certo limite, o addirittura con l’ineleggibilità se lo supera.

            Occorre inoltre considerare che le spese dei singoli possono venire sensibilmente incentivate o contenute a seconda del sistema elettorale che si adotta.  Il sistema della preferenza, tanto più se unica, spinge a campagne individuali costosissime.  Il collegio elettorale ampio le dilata, quello ristretto le contiene.  Il collegio uninominale collega il candidato al partito, e quindi permette di distribuire il costo.

            Appare altamente raccomandabile che il PD si faccia portavoce di queste istanze, fortemente sentite dai cittadini.

 

b)         ridimensionare le indennità dei parlamentari italiani, allineandole alla media delle indennità percepite dai parlamentari dell’Unione Europea; e conseguentemente definire le indennità delle funzioni pubbliche elettive diverse da quelle, secondo una scala decrescente, in ragione del livello istituzionale.  Sfrondare i benefici diversi dalle indennità, che non siano oggettivamente giustificati.

            A quanto è dato leggere le indennità riservate da ciascuno Stato ai propri parlamentari europei, nell’anno 2005 ( arrotondate al migliaio di euro annui, e tralasciando gli Stati molto piccoli) erano le seguenti:

ITALIA  149;     AUSTRIA  105;    GERMANIA  e IRLANDA 84;    GRAN BRETAGNA 82:

GRECIA  73;     BELGIO 72,       DANIMARCA   70,       OLANDA 67,    LUSSEMBURGO 64

FRANCIA   63,    FINLANDIA   SVEZIA   62,   PORTOGALLO 48,     SPAGNA   39

POLONIA   28,    altri a scalare, sino a UNGHERIA   10.

            La media ponderata delle indennità (esclusa l’Italia) dovrebbe portare ad un ammontare intorno ai 70-75.000 euro, che è all'incirca la metà di quello attuale.

            Partendo da questo valore, si dovrebbero ridimensionare le indennità delle altre cariche elettive:  ad esempio, in via del tutto opinabile, si potrebbe prevedere il 70% per il consigliere regionale,  il 35% per il consigliere provinciale, e via a scendere:  riservando, peraltro, positiva considerazione ai sindaci, sino ad alleggerirne il relativo costo  per i Comuni molto piccoli, ponendolo a carico di bilanci o di fondi di livello superiore.

 

            Accanto a questo intervento primario, il PD dovrebbe farsi promotore per la riduzione di almeno alcuni dei vari benefici dei quali godono i parlamentari.

            Un certo “giro di vite” è già stato dato, per effetto delle ripetute inchieste e polemiche.  Se non sono già stati soppressi, lo dovrebbero essere i seguenti:

-  ingresso gratuito nelle sale cinematografiche;    -  ingresso gratuito negli stadi;    -  spese annue per (asserite) missioni di apprendimento all’estero;     -  gratuità di vari corsi di apprendimento (lingue, computer ecc.).

            Potrebbero essere ridotte le spese per i c.d. “portaborse”  (e riconosciute solo se accompagnate dalla documentazione relativa ai contributi e ad ogni obbligo di legge).

            La c.d. “buonuscita” è in realtà una parte dell’indennità lorda, che viene accantonata:  ciò non toglie che potrebbe essere sensibilmente ridotto tale accantonamento, e quindi l’importo dell’indennità.

 

c)         Occorre rivedere il sistema di finanziamento dei partiti, legando l’erogazione pubblica non all’astratto numero dei votanti, ma al concreto sostegno finanziario ricevuto dai privati.

            L’erogazione pubblica - da conservare – non deve essere superiore alla somma dei finanziamenti effettuati dagli iscritti e dai simpatizzanti.

            In tal modo si obbligano i partiti a rendere evidenti le fonti e l’ammontare dei finanziamenti privati (trasparenza), e si stimolano i partiti a superare la loro auto-referenzialità, coinvolgendo di più i cittadini (democraticità) e rendendosi più “accettati” dai medesimi.

            (v. anche, volendo, l'allegato A)

                       

            La quantità di interventi legislativi e l’andamento di cui si dice nell'allegato (secondo il quale l'intervento si verifica dopo che è scoppiato uno scandalo, il quale produce una correzione  momentanea, subito neutralizzata da espedienti vari, e da dilatazioni progressive)  rende poco probabile una correzione di marcia da parte di quelle forze politiche che hanno votato, quasi sempre compatte o con pochissime eccezioni, le varie normative.

            Tuttavia, riteniamo giusto che il PD si impegni sul punto, perché il meccanismo attuale è  troppo perverso per essere conservato   Esso infatti  * spinge ad avere più soldi per raccogliere più voti, e questi servono per aumentare i soldi, in un circolo vizioso auto-alimentante;   *  spinge ad elezioni anticipate, anche di poco, per duplicare i finanziamenti;    *  spinge i candidati a presentarsi in più circoscrizioni, per dilatare il “tetto”, rendendo fluttuante e discrezionale la scelta del primo escluso, a seconda dell’opzione che fa l’eletto.

            L’aggancio dell’ammontare del fondo al numero degli elettori, e non dei votanti, rende sterile la rinuncia al voto.

            L’affidarsi al contributo dei simpatizzanti, attraverso la destinazione del 4 per mille, si è rivelato modestissimo.

            Poiché un finanziamento pubblico è comunque necessario - per contenere l’impulso a finanziarsi diversamente, o quanto meno per togliere ogni legittimazione politica ove ciò avvenga - si può ipotizzare una normativa che - a somiglianza di quanto avviene in altri Stati, ad es. in Germania - adegui il contributo pubblico ai partiti alla somma dei versamenti che i partiti ottengono dai privati  (se non in misura eguale, si potrebbe prevedere un diverso ragguaglio, ad esempio il doppio, ma comunque ancorandolo al radicamento effettivo del partito fra i cittadini).

 

            Considerata la poca probabilità di un intervento legislativo concorde, si può unicamente puntare sulla ragionevole aspettativa che un partito, dotato di sufficiente sensibilità etica, si faccia promotore convinto di una battaglia per la riduzione di questi finanziamenti, confidando di compensare il calo dei finanziamenti con l’aumento dei voti.

            A questo fine auspichiamo la presentazione di un'articolato disegno di legge, avente come prima firma quella del Segretario del PD.

 

 

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            La pluralità di incarichi.

 

            Essa, quanto al Parlamento, è regolata dal D.P.R. 30 marzo 1957 n. 361, e successive modificazioni.  Tale decreto prevede varie cause di “ineleggibilità”  (nozione un poco diversa dalla non candidabilità, che opera anticipatamente rispetto all’elezione, e che consegue a condanna penale ostativa;  ed è diversa altresì dalla “incompatibilità”, che permette l’elezione, ma poi obbliga ad optare per uno dei due incarichi)

 

            L’art. 7 del DPR 361 stabilisce che non sono eleggibili :

-          i deputati regionali (Sicilia) o i consiglieri regionali  (la norma è però stata dichiarata illegittima da Corte Cost. n. 344/1993),

-          i presidenti delle Giunte provinciali;

-          i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti;

-          capo della polizia, e altre categorie che qui non interessano.

            Altre incompatibilità sono previste per singole figure pubbliche.

            Se accade che un soggetto venga egualmente candidato e sia eletto, la Giunta per le elezioni, presso ciascuna Camera, è chiamata a sancire la decadenza, e il subingresso del primo escluso.

            Di fatto le procedure vengono spesso rallentate, per fare lucrare all’eletto indebitamente i vantaggi della sua presenza di fatto nel Parlamento.

            Si ritiene vivamente raccomandabile un'iniziativa di riforma che affidi ad un organo terzo, e non alla maggioranza parlamentare che tale non è, il giudizio sulle condizioni di eleggibilità di ciascun componente delle Camere.

 

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            Il sottogoverno.

 

            Non è facile pensare rimedi sicuramente efficaci al riguardo, tuttavia si ritiene che il PD debba fortemente impegnarsi anche a questo riguardo

 

            Si può puntare ad una riduzione per legge del numero dei consiglieri nei consigli di amministrazione con partecipazione pubblica;   a forme obbligate di trasparenza, cioè di esposizione pubblica di tutte le nomine (bollettino trimestrale?;  notizia sui giornali?);  a un contenimento legislativo dell’ammontare dei compensi  (mero gettone di presenza, non superiore a ?;  vistosa riduzione dello stesso, se il beneficiario percepisce già altre indennità pubbliche ?).

 

            Occorre che i partiti si impegnino ad esigere, da parte di tutti gli eletti che ad essi fanno riferimento, la maggior possibile imparzialità e correttezza  nell’esercizio dei poteri discrezionali loro affidati.

            L’eletto è uomo (o donna) di parte nel perseguimento degli obiettivi politici della forza alla quale aderisce, perché come tale si è presentato, e perché gli obiettivi politici sono oggettivamente propri di una parte, e non (necessariamente) di tutti.  Ma è uomo dell’istituzione nei comportamenti e nell’impiego degli strumenti funzionali a quegli obiettivi: appalti, concessioni, assunzioni, finanziamenti, consulenze, incarichi, spese, indennità pretestuose ed ogni altra attività nella quale si esprime la discrezionalità politica, devono essere praticati secondo il criterio del maggior vantaggio per l’istituzione, e non del maggior beneficio per gli omologhi o, peggio ancora, per se stesso.

            Un codice deontologico, che impegni ogni candidato ed ogni eletto alla sua osservanza, sarebbe altamente apprezzato.

 

            Pinerolo, gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                      Allegato  A

 

 

 

                                                           Excursus sulla legislazione relativa al finanziamento dei partiti

                        La materia delle spese elettorali e del finanziamento ai partiti è molto complessa, ed è bene         sia vista congiuntamente.

                        Gli interventi “moralizzatori” in materia sono sempre avvenuti dopo l’emersione di un       qualche scandalo.  E sistematicamente, dopo qualche tempo, sono subentrate altre leggi che           hanno molto attenuato l’intervento moralizzatore.

                        La legge Piccoli (195/1974) segue allo scandalo Trabucchi ed al più generale scandalo dei          petroli (1973).  Essa introduce il finanziamento pubblico come strumento per evitare il ricorso a sostegni occulti;  il divieto per i partiti di percepire finanziamenti da strutture pubbliche; ed un      obbligo - sanzionato penalmente - di iscrizione a bilancio e di pubblicità dei finanziamenti           provenienti da privati, se superiori ad un modesto importo.

                        Già nel 1981, con la legge 659/81, i finanziamenti pubblici vengono raddoppiati;  la norma            penale viene declassata a illecito amministrativo.

 

                        Il referendum del 1993,  trainato dallo scandalo di “tangentopoli”, registra il 90,3% dei         consensi alla proposta abrogativa, formulata dai Radicali, e comporta la soppressione del      finanziamento pubblico ai partiti.

                        Immediatamente viene adottata la legge 10 dicembre 1993, n. 515, che prevede:

            *   l’istituzione di due fondi (per la Camera e per il Senato) per il rimborso delle spese elettorali   sostenute dai candidati collegati a liste di partito, L’importo è ripartito in proporzione ai voti        conseguiti, a patto che abbiano sperato la soglia del 3%;  ogni candidato incontra un “tetto” alle        spese, che inizialmente è di lire 400 per ogni cittadino, oltre addendi minori, e in seguito verrà     progressivamente aumentato (a lire 800, poi a lire 4.000).

                        L’importo complessivo si aggira pertanto intorno ai 40-45 miliardi di lire.

                        Il “tetto” alle spese elettorali individuali è posto a circa 55 milioni di lire.

                        La legge prevede inoltre la pubblicità della situazione patrimoniale di ogni eletto.

 

            *    Già nel 1995 il “tetto” viene innalzato a circa 65.000.000  di lire per ogni candidato.

 

            *          Poiché continua a mancare una forma di finanziamento diretto ai partiti, ed il referendum è         ancora troppo vicino per essere contraddetto, con la legge 2 gennaio 1997, n. 2 (“Norme per la             regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici”) si reintroduce di           fatto il finanziamento pubblico.  La legge prevede la possibilità per ogni contribuente di destinare il        4 per mille al finanziamento dei partiti, per un totale massimo di circa 160 miliardi di lire.

                        L’adesione spontanea alla contribuzione registra importi molto modesti, e quindi si corre ai          ripari.

 

            *          La legge 3 giugno 1999, n. 157 aumenta a lire 4.000 pro capite l’importo dei fondi per il   sostegno alle spese elettorali dei partiti;  in compenso (compenso molto parziale, perché        l’abbattimento è di meno di un quinto, l’espansione è del quintuplo) riduce la platea di riferimento,       perché considera non tutti i cittadini, ma solo i cittadini iscritti nelle liste elettorali.  Inoltre abbassa         all’1% dei voti la soglia per accedervi;  impone ai partiti di destinare almeno il 5% del finanziamento   ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione delle donne alla vita politica.

 

            *          Con tecnica simile, la legge 26 luglio 2002, n. 176, riduce il contributo capitario da lire 4.000        a 1 euro per elettore;  ma porta l’ammontare totale del fondo a 153 milioni di euro, e soprattutto      prevede la ripartizione del fondo non più una volta ogni legislatura, ma ogni anno, cosicché, di fatto,   il contributo assomma a 5 euro per elettore.

 

            *          L’ultimo tocco, per ora, è dato dalla legge 512 del 2006, che - nata nella legislatura del    secondo governo Prodi, nel quale la sostanziale parità al Senato lasciava prevedere la fine anticipata       della legislatura - stabilisce che l’erogazione del fondo avviene per l’intero all’inizio di ogni singola           legislatura, ed è dovuta per tutti i cinque anni, anche se le Camere vengono sciolte anticipatamente:            pertanto, negli anni 2008-2011, l’erogazione è duplice.

 

            *          Quanto alle spese del singolo candidato, è previsto progressivamente un “tetto” di circa 73.000 euro;  ma il decreto Pisanu (3 gennaio 2006, n. 1: è quello che disciplina il voto elettronico,    sperimentato nell’elezione dell’aprile successivo) stabilisce che tale “tetto” vale per ciascuna delle     circoscrizioni nelle quali il soggetto si candida.  E poiché la legge Calderoli (il “porcellum”) ha         rimosso il limite delle tre circoscrizioni, il candidato che si presenti in tutte le 27 circoscrizioni,    dispone di un tetto teorico di quasi due milioni di euro (per l’esattezza: € 1.988.623).