Chi scrivesse su una locandina di una riunione della comunità ebraica che «gli ebrei si curano a Zyklon B», il gas usato dai nazisti nei campi di sterminio, verrebbe punito in Italia con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Per fortuna, io penso. È il dettato di una legge – la 205 del 25 giugno 1993 nota come “Legge Mancino” – che condanna l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. È una fortuna che ci sia la Legge Mancino, perché con essa viene sancito che le parole sono pietre, che alle parole seguono spesso i fatti, che le vittime di una violenza verbale non sono meno vittime di chi ha subito una violenza fisica. Certe parole intimidiscono, inducono chi ne è fatto oggetto a manifestarsi in modo più cauto, insinuano il rischio che la libera espressione comporti un prezzo da pagare.
Scrivere su una locandina di una riunione organizzata dall’associazione degli studenti gay e lesbiche di un’università (nel caso specifico, la Bocconi di Milano) che «i froci si curano a Zyklon B» costituisce invece la libera espressione di una probabilmente inelegante ma, per l’ordinamento italiano, legittima opinione. Anche se gli stessi studenti sono già stati molestati e aggrediti non meno di dieci giorni fa all’interno del medesimo ateneo. La legge Mancino, infatti, non punisce l’odio omofobico e ogni tentativo di allargare all’omofobia questa legge è stato respinto come norma liberticida che limiterebbe la libertà di espressione. Eppure gli omosessuali sono stati sterminati con il medesimo Zyklon B nei medesimi campi di sterminio. Una ragione per questo differente trattamento ci dovrà pur essere. Io però non riesco a comprenderla.