mercoledì 1 giugno 2011

GIANCARLO DE CATALDO

Riporto da L’Unità del 17 maggio queste righe di Giancarlo De Cataldo.

“Una città del Sud, anni sessanta. Un fantasma si aggira fra i vicoli e le piazze che odorano di mare. E’ un signore gay. Tutti lo conoscono, e per quanto viva la sua tranquilla vita, tutti si sentono in dovere di manifestargli pubblicamente antagonismo, disprezzo. Fra noi ragazzini è oggetto di battute, vittima di scherzi. Un giorno lo vediamo passare, siamo in comitiva. E uno di noi, invece della consueta battuta pesante, se ne esce con una semplicissima domanda: perché? Cioé: perché diavolo ce la prendiamo con lui? Non sappiamo trovare risposta. Perché non c’è risposta. Improvvisamente ci sentiamo a disagio. La nostra aggressività verso quel tizio ci pare stupida.

Smettiamo di avercela con lui nel preciso momento in cui comprendiamo che non ce n’era motivo. Ci sentiamo colpevoli. In quel preciso momento scegliamo di cambiare. Ci viene naturale. Vogliamo imparare a rispettare quel signore. Vogliamo, in una parola, tornare innocenti. Molto è cambiato, negli anni, nell’atteggiamento collettivo nei confronti delle scelte di orientamento sessuale. Molto, ma evidentemente non ancora abbastanza.

Fra qualche giorno si discuterà una proposta di legge contro l’omofobia. Leggi simili esistono in molti Paesi che consideriamo avanzati, e noi stessi riteniamo medioevali quei Paesi che impongono a suon di frustate la morale sessuale di Stato. Però c’è chi propone di vietare un gioco di simulazione perché prevede coppie gay. Un’idea che ci fa sorridere? Forse, ma c’è chi la prende sul serio. E forse non si è mai, semplicemente, fermato a domandarsi: perché?”