giovedì 9 giugno 2011

UNA LETTERA

Carissimo e gentilissimo Don Franco, Le scrissi tempo e ricevetti una risposta cortese e tempestiva =) Volevo esporle una mia riflessione e chiederle un parere, ovviamente però, non mi aspetto una risposta, so bene quanto lei sia impegnato e mi dispiacerebbe toglierle del tempo.
Dunque, mi chiamo Riccardo e sono uno studente di Scienze dell'Educazione e della formazione, e fra le mie materie di studio vi è l'antropologia. Utilizzando una prospettiva antropologica sono arrivato alla conclusione che l'Antico Testamento - in larga parte e soprattutto il libro Levitico - in realtà non sia "Parola del Signore" ma semmai "Parola dell'uomo". Io penso che l'Antico Popolo d'Israele e i suoi patriarchi, abbiano sigillato i loro precetti (scaturiti da esigenze igieniche, alimentari, culturali e sessuali) con la formula "Parola del Signore", per giustificare le loro leggi affinché nessuno potesse metterle in discussione. Sentendosi infusi della Sapienza del Signore ed eletti, probabilmente sono arrivati alla conclusione che tutto ciò che derivava dal loro pensiero era in qualche modo ispirato da Dio, ed ecco dunque la formula "Parola del Signore". Prendiamo ad esempio l'episodio di Onan, in cui leggiamo:

« Giuda scelse per il suo primogenito Er una moglie, che si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso agli occhi del Signore e il Signore lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan "Va' con la moglie di tuo fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità a tuo fratello". Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva il seme per terra, per non dare un discendente al fratello. Ciò che egli faceva era male agli occhi del Signore, il quale fece morire anche lui. »  (Genesi 38,6-10)

Riflettendoci, in una cultura dove il lignaggio ebbe un ruolo determinante per la sopravvivenza della stirpe, del Popolo, della Comunità, mi viene da pensare che la dispersione del seme subì una condanna, proprio per evitare che la prole - considerata una risorsa inalienabile - non venisse messa in discussione. Indubbiamente Onan praticò il coito interrotto per vanificare la il levirato ed evitare volontariamente la nascita di un figlio che non avrebbe potuto portare il suo nome, ma penso che la considerazione della sua morte come flagello di Dio, sia da interpretare in questa prospettiva antropologica: se Dio procura la sua morte, conviene insieme a noi che la dispersione del seme sia abominio, perciò essendo abominio di fronte a Dio, siano puniti coloro che la praticano. Sulla stessa scia mi sento di connettere il discorso dell'omosessualità: abominevole di fronte a Dio poiché mette a repentaglio la stirpe, la discendenza, il lignaggio. Impensabile perciò!

Oltre a ciò Don Franco, mi sono anche posto molte domande circa il racconto della Genesi. Secondo il Prof. Raffaele Carlo de Marinis dell' Università degli Studi di Milano (Dipartimento di Scienze dell'Antichità, Sezione di Archeologia), "Il racconto biblico, che tanta importanza avrà nella storia della cultura occidentale, per alcuni aspetti affonda le sue radici nelle letterature mesopotamiche, in particolare in quella sumerica, la più antica di tutte. Nel racconto epico "Enmerkar e il Signore di Aratta" un passo di una ventina di versi descrive una mitica età dell'oro, quando tutti gli uomini parlavano una sola lingua e vivevano in pace e senza pericoli, fino a quando il dio Enki con un malefizio fece cadere l'uomo da quello stato di grazia, suscitando guerre e conflitti.  In un altro poema sumerico, "Enki e Ninhursag", viene descritto un paese puro, pulito e splendente, in cui non si conoscono la malattia e la morte, il paese di Dilmun. Il dio Enki ordina a Utu, il dio sole, di far sgorgare dalla terra l'acqua e di irrigare il paese, che si trasforma in un giardino lussureggiante. Il paese di Dilmun è forse all'origine della concezione ebraica dell'Eden, il paradiso terrestre. Lo stesso poema sumerico getta luce sulla creazione di Eva dalla costola di Adamo. In ebraico Hawwah (Eva) significa "colei che fa vivere". Nel poema sumerico Enki si ammala e una delle parti ammalate è la costola. Ninhursag crea una dea che guarisce la costola di Enki, Nin-ti, la "signora della costola", che significa anche "la signora che fa vivere", poiché ti in sumerico ha il significato tanto di costola, quanto di far vivere. In ebraico il litigio letterario perde significato, ma il fatto che nel racconto dello Yahvista la prima donna, "colei che fa vivere", nasca dalla costola di Adamo, è un indizio che rivela la conoscenza della mitologia sumerica .
Anche la concezione di una duplice natura dell'uomo, formato dall'argilla,  e perciò miserabile e caduco, e da qualcosa di divino, dunque superiore a tutti gli altri esseri viventi, trova alcuni riscontri nella letteratura sumerica. La dea Nintu mescola all'argilla la carne e il sangue di un dio per far nascere l'uomo .  Per quanto riguarda il racconto del "peccato originale" è possibile che lo Yahvista abbia utilizzato una storia pre-esistente, ma un vero parallelo nelle letterature mesopotamiche non è ancora stato rintracciato."


Dunque la mia domanda è: quale ruolo assume nella vita di un cristiano l'Antico Testamento, stabilito che molti contenuti provengono da altre culture o da dettami tipicamente umani e considerati divini in virtù di una sorta di percezione elettiva di se stessi? Se non erro Gesù disse: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini>>(Mc 7,6-8).

Grazie della sua attenzione Don Franco, vorrei tanto incontrarla un giorno, Lei è un dono per tutti noi, un esempio da seguire. Spero di potermi organizzare e venire a trovarla al più presto. Un abbraccio Riccardo.