venerdì 22 luglio 2011

DIO: INVISIBILE MA VICINO

44 Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. 45 Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. 47 Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48 Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 51 Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52 Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» Matteo 13,44-52

 

Questa volta concentrerò la mia attenzione sul primo versetto del brano che la liturgia di questa domenica propone. Non ci sfugga un particolare: questa sezione del Vangelo si trova soltanto in Matteo.

Dietro questa piccola parabola del tesoro nascosto e trovato, c'erano i sogni e le leggende dei contadini dei villaggi… Si raccontava che qualcuno avesse compiuto un lungo viaggio alla ricerca di un tesoro, come nel libro di Tobia. Ma era anche successo che, tra una incursione militare e l'altra, qualcuno avesse nascosto un piccolo tesoro che poi rimase introvabile fino alla felice ed improvvisa scoperta.

Gesù nelle sue parabole allude sempre a situazioni di vita. Sia pure con alcuni tratti allegorici, esse partono dalla vita e ad essa riconducono per offrirne una visione nuova ed inserire la marcia del cambiamento.

Intanto il regno dei cieli (così Matteo indica la realtà del regno di Dio) è un tesoro che, per quanto nascosto, giace nel campo della vita.

Mi piace sottolineare il fatto che il tesoro non si trova in un museo, in una sinagoga, in una chiesa, in una istituzione. Il regno di Dio, la Sua presenza, il Suo soffio vivificante non hanno bisogno di spazi sacri.

È la vita di tutti i giorni il campo in cui scoprire il tesoro.

Scoprire

Il problema per moti/e di noi inizia proprio da questo verbo: scoprire. La fede ci è stata "insegnata-rivelata"come un "prendere o lasciare", dove tutto il "prodotto" è già confezionato, dove le verità sono intoccabili e sicure, dove il bene e il male sono chiaramente identificabili.

Che cosa c'è da scoprire in una fede fatta di dottrine e di dogmi garantiti da un magistero infallibile? Che cosa c'è da scoprire in una chiesa in cui tutti i posti sono numerati ed assegnati e tu devi semplicemente "stare al tuo posto", alzarti e sederti agli ordini di un funzionario sacro?

Ma il bello della vita come della fede sta proprio nel fare della propria esistenza un itinerario di ricerca con gli inevitabili dubbi, smarrimenti, concerti…

Il tesoro nascosto non vuol forse dire che l'essenziale da parte nostra è proprio l'impegno di ricerca?

Molte comunità cristiane e molte esistenze di fede sono diventate asfittiche, stanche, rutinarie proprio perché è stato tolto il pungolo, lo stimolo della ricerca. La paura dell'errore e il mito dell'obbedienza son i veri avvelenatori, i sonniferi della comunità cristiana.

Se non ritroviamo la ribellione verso questo cristianesimo da palude, da minorenni, non ci resterà che una religione senza fiato, senza anelito di vita.

Non possiamo trovare né i sentieri dell'oggi né le strade che ci portino verso un futuro diverso, se non osiamo riprendere la via audace della ricerca biblica, liturgica, catechistica, pastorale. O le nostre comunità diventano dei laboratori di umanità o di fede, oppure non avranno altra possibilità che ripetere formule, liturgie, devozioni consunte e fuori dalla storia.

E perché non dirci che questo vivere con audacia l'avventura della ricerca di un nuovo stile di vita e di nuovi modi di credere crea aria nuova, passione e gioia?

Gesù di Nazareth, pur inserito nella sua tradizione di credente ebreo, ha scandagliato nuove possibilità di testimoniare l'amore di Dio. Egli ha saputo vivere e lanciare agli abitanti dei villaggi che attraversava un messaggio di cambiamento, l'invito a sottrarsi alla rassegnazione, ha parlato di un Dio che ci spinge verso un futuro diverso, più giusto e più felice. Ha parlato di felicità a delle persone che credevano di "non averne diritto".

Vendere

La metafora è efficace. Si tratta di buttare via qualcosa dalla nostra vita. Scoperto il tesoro, cioè il fatto che Dio ci chiama al rinnovamento in prima persona, nessuno escluso, allora quei contadini erano invitati a gustare il fatto di essere amati da Dio, a buttarsi alle spalle il loro senso di nullità, a non rassegnarsi al destino dei senza futuro.

E io che cosa debbo lasciar cadere, da che cosa devo liberarmi per rendermi più disponibile al "regno di Dio", cioè all'azione di Dio in me, nella chiesa e nel mondo?

Con serenità e con serietà devo prendere in considerazione questa domanda.

 

Ti prego

O Dio, aiutami a fare dei miei giorni un pellegrinaggio alla ricerca della Tua volontà. Non lasciarmi riposare nell'illusione delle "mie" verità, delle mie virtù o nella falsa quiete dell'indifferenza. Tu, viaggiatore accanto a noi, sei la presenza amica che rende gioiose le fatiche del viaggio.