martedì 25 ottobre 2011

,,LAVORATORI A RISCHIO MOBBING

Loredana ha 31 anni ed è una persona trans, lo scorso anno lavorava per una cooperativa di servizi alla persona con contratto a tempo indeterminato. Quando informa superiori e colleghi della transizione in corso, non sembra accadere nulla. Ma poco tempo dopo «la responsabile e alcune colleghe iniziano a segnalare tutte le sue piccole manchevolezze, ingigantendole». Il mobbing si fa sempre più pesante, finché disperata Loredana decide di andar via. È una delle storie raccolte da Arcigay nel corso della ricerca «Io sono, io lavoro» (www.iosonoiolavoro.it) finanziata dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali, condotta su duemila questionari. La ricerca, basata sulla «percezione» del maltrattamento, raccoglie le narrazioni delle persone coinvolte,come hanno dichiarato i responsabili Rosario Murdica, Raffaele Lelleri, Michele Giarratano. È la prima indagine sulle discriminazioni sul lavoro ai danni delle persone omosessuali e trans. Mette in luce quanto possa compromettersi in una situazione di crisi economica la condizione di chi è più fragile. Le difficoltà: accedere al lavoro o mantenerlo. C’è chi viene messo alla porta e chi, vittima di mobbing, non ce la fa più e si licenzia.

Silvio ha 30 anni ed è gay. Sul lavoro ha scelto di non essere visibile, i colleghi mormorano: non sta con una donna, non parla mai di donne, è finocchio. Ma lui regge. Tutto diventa difficilissimo quando scopre di essere sieropositivo. Sul lavoro non trapela nulla, è sempre sorridente e in giacca e cravatta. Ma qualcosa si viene a sapere, forse controllano la sua posta. Alla scadenza il contratto non gli viene rinnovato, nonostante l’ottimo rendimento e i corsi di formazione per farlo crescere sostenuti dall’azienda. Va dal sindacalista, gli comunica i suoi sospetti. E dopo una breve indagine la risposta è affermativa: «Tra un Silvio malato e un Sempronio sano, assumono Sempronio». Silvio va dall’avvocato che scrive all’azienda, la quale propone non il reintegro, ma un cospicuo rimborso.

GIULIANO, 35 ANNI

Giuliano ha 35 anni. Laureato in psicologia, si presenta ad un colloquio per l’incarico di educatore in una comunità di persone con disturbi cognitivi. Dinanzi a lui c’è la direttrice. La prima parte del colloquio sembra andar bene, poi gli viene somministrato un test che a lui non sembra adeguato al contesto. Lo fa e poi iniziano le domande personali. Gli viene chiesto se è sposato, e lui risponde che non può visto che è omosessuale e si sente dire: «Uno del genere ha già lavorato con noi ed è stato licenziato perché ha creato molti problemi, aveva avuto una tresca con un utente». Il lavoro gli viene negato perché omosessuale.

Francesco ha 35 anni ed è omosessuale, lavora dagli inizi in un’azienda in espansione passata da dieci a cento dipendenti e si impegna perché possa crescere. Ottiene per questo un incarico di rilievo, coordina dieci persone. Il clima però è omofobico, le battute si sprecano. Finché un collega gay si dimette e scrive una lettera accusando i dirigenti di maltrattamento anche verso gli altri due dipendenti omosessuali. Francesco, che non aveva detto nulla di sé, è ormai allo scoperto. Da qui inizia il suo declassa- mento: fa lavori «da niente», viene isolato dai colleghi, gli vengono tolti alcuni benefit. Decide di iscriversi al sindacato. La situazione non cambia, resta «di stallo». Però dentro il sindacato lavora per aumentare la sensibilità nei confronti di tutte le discriminazioni. Dice che occorre impegnarsi per aiutare le vittime ad uscire dalla «cappa del silenzio»: «Ti trovi da solo,non c’è nessuno che comunica con te, non sai cosa dire e a chi»