martedì 4 settembre 2012

L‘incoerenza di quelli che dicono «abbiamo»

La litania depressiva della crisi, recita instancabile il suo mantra fatto di ideologia dello stato di necessità, di menzogne spacciate per verità, di misure punitive contro gli eternamente tartassati, senza che si intraveda oltre la cortina fumogena delle falsità, almeno uno spicchio di orizzonte e senza che vengano poste domande sul senso di ciò che stiamo vivendo.
Senso e orizzonte sono stati espunti dall'ordine del discorso, la stessa relazione di causa ed effetto è portata al cortocircuito affinché chi detiene il potere possa non dare risposte in merito alle responsabilità del la situazione attuale e alle ragioni che a tale stato di cose ci hanno portato.
Ieri ho ricevuto una mail del professor Franco Fabbri che giustamente denuncia l'insopportabile abuso dell'affermazione retorica: «Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità!». A partire da questa denuncia, Fabbri pone un domanda vera: «Chi è questo "abbiamo"?».
Non è «abbiamo» che ha creato la voragine del debito pubblico e, per i noti scopi, ha dilapidato segmenti di ricchezza nazionale a favore di corrotti e corruttori e privilegiati, oltre a permettere alla malavita organizzata di impadronirsi di vaste aree del territorio e delle attività economiche.
Ma soprattutto non è «abbiamo», che ha pianificato un modello di sviluppo disastroso e non ha permesso l'emersione di alternative. La demagogia della responsabilità collettiva, è uno schifoso espediente per intorbidire le acque e non individuare le gravi colpe che hanno portato il nostro paese al disastro.
Il leader socialista Bettino Craxi, fu maestro di questa logica perversa che si condensava nello slogan: tutti colpevoli nessuno colpevole. La stessa logica è stata brandita come un manganello contro la magistratura che cercava di ristabilire il circuito virtuoso legalità/sviluppo economico. Ma poiché il colpevole deve comunque essere qualcun altro, non c'è miglior colpevole che un'oscura forza impersonale: la crisi internazionale.
Ovviamente il mostro è venuto dagli inferi pertanto non è decifrabile, ma non bisogna spaventarsi: così come è arrivato, se ne andrà. Ciò che è vitale è che non venga messo in discussione il modello di sviluppo che è all'origine del disastro. Il cieco fideismo dei sedicenti liberisti nel capitalismo finanziario da rapina, è pari solo a quello degli stalinisti, con una sola differenza, il loro dio invece di essere il partito, è il mercato.
La loro ricetta è ancora una volta: meno Stato! Tradotto in termini comprensibili ai più significa: distruzione dello stato sociale, riduzione a totale insignificanza della cosa pubblica, mercatizzazione di ogni aspetto della vita e disprezzo crescente per i meno abbienti.
Moni Ovadia
(L'Unità, 11 agosto)