domenica 28 luglio 2013

IL CASO DI ALMA NON È UN CASO ISOLATO

Il caso di Alma Shalabaeva prelevata dalla sua abitazione romana con la figlia minore ad opera di un ingente numero di non meglio individuati agenti, per poi essere frettolosamente espulse nel loro Paese dimostra come in Italia continuano ad esservi sacche di opacità istituzionale che operano al di fuori delle regole democratiche.

(Loris Parpinel)

 

Qualcuno pensa (probabilmente a ragione) che ci siano responsabilità politiche legate all’amicizia fra Berlusconi e il dittatore Kazako Nursultan Nazarbayev dietro all’affaire Shalabayeva. Quasi nessuno dice o pensa, tuttavia, che vi siano state, in questa brutta storia, responsabilità di ordine legale. Perché? Perché le leggi sull’immigrazione approvate nel tempo di Berlusconi e Maroni non tutelano in nessun modo il rifugiato politico cha riva sul nostro territorio. La giovane donna e la bambina di sei anni che non sono riuscite a far valere i loro diritti, appunto, di rifugiati sono diventate un caso perché di mezzo c’era un perseguitato politico “importante”.
Capace di suscitare l’interesse della stampa intorno alle vicende sue e della sua famiglia. Le leggi per cui i provvedimenti relativi all’arresto e alla espulsione (compresi, in molti casi, i maltrattamenti) possono essere presi dall’Autorità di Pubblica Sicurezza “inaudita altera parte” (e senza contraddittorio, cioè, valutato da un giudice), tuttavia, sono leggi di questo Stato. La domanda cui Alfano dovrà rispondere in Parlamento non riguarda dunque solo Alma. Quello che gli italiani dovrebbero poter sapere è il numero e la gravità dei soprusi più quotidiani: quelli di cui nessuno ha saputo o saprà nulla ma che si consumano ogni giorno sulla pelle dei rifugiati che non contano nulla.

(Luigi Cancrini, L’Unità 16 luglio)