sabato 30 novembre 2013

padre Elio Taretto

La generazione che aveva visto la guerra e la resistenza armata era entrata nel dopoguerra con mille interrogativi: era crollato un mondo che fino a un decennio prima sembrava l'unico possibile. Tutti i punti di riferimento erano macerie: il parroco, il farmacista, il podestà, il geometra e la levatrice appartenevano allo scenario sbiadito che non rispondeva più alla realtà di un piccolo mondo antico ormai tramontato.
Nascono i germi della "Rinascita" che produrrà entro trent'anni, insieme con le autostrade e l'inquinamento, mafiosi, emigranti, imprenditori fai-da-te, eroi civili, preti e frati senza tonaca. Il mondo è percepito come un grande laboratorio di ordinaria follia, in cui ciascuno prende su di sé il rischio dell'avventura. Ciascuno è Ulisse, Saulo, Don Chisciotte. La "Rinascita" della Chiesa si chiama 'Aggiornamento", la palestra è il Concilio Vaticano II. Una caldaia in ebollizione, un caos indispensabile come premessa alla follia di ogni nuova creazione.
Cambiano le situazioni sociali, i contesti della convivenza, cambiano i calendari e i riti religiosi, la sensibilità morale: per qualcuno creare scandalo può diventare un dovere, per altri un crimine. Fare il prete e il frate era entrare nella "carriera ecclesiastica" in una società gerarchicamente organizzata con titoli spagnoleschi, inchini e baciamani.
Cresciuto nella struttura dello studentato francescano, Elio (Celestino) Taretto prende il largo, fiuta a distanza la sorpresa del Concilio e la sgroppata del Sessantotto: inizia la catena di carità e attenzione ai poveri, soprattutto per il mondo della prostituzione e dell'emarginazione in generale con i centri di via Arcivescovado e via Mercadante in Torino. Mai da solo, ma suscitando intorno a sé aggregazioni e sperimentazioni comunitarie, con confratelli del suo Ordine o con laici, vivendo la spiritualità di Emmaus, dà vita a Tempi di Fraternità e lavora con un gruppo di "Cristiani per il socialismo", uomini di pace tra due frontiere.
Si trasferisce a Pino d'Asti con una più forte accentuazione degli aspetti formativi del vivere, il recupero di un rapporto diretto e aperto con la natura, con i valori sociali e del terzo mondo, non violenti. Tali opzioni vengono consolidate alla Cascina Penseglio di Albugnano, in un contesto di vita comunitaria tra religiosi e laici, con una irradiazione su persone alla ricerca dei valori veri, umani e religiosi. Sul ponte di Mostar nella marcia di pace con Luigi Bettazzi e Tonino Bello rischia la vita, una sventagliata di mitra gli lacera il saio. Il ponte tra due rive è stato il simbolo di tutta la sua vita, forse preannuncio di una traversata inattesa, per un male che lo minava da tempo, il 10 dicembre 1993. Ma continua a camminare con noi.

Gianfranco Monaca