lunedì 14 aprile 2014

"In tre mesi raddoppiati i poveri"

I poveri sono arrivati anche alla Crocetta, il quartiere bene della citta. Tanto che il parroco vescovo, don Guido Fiandino, sta per aprire un centro di ascolto di cui finora, in parrocchia, non si era sentito il bisogno. «Certi giorni bussano alla porta, anche dieci persone - racconta monsignor Fiandino, che tra due mesi conta di inaugurate il punto di accoglienza per i poveri - C'è gente, che ha avuto crolli lavorativi notevoli». Il termometro della Caritas misura l’onda lunga della crisi, gli effetti del crollo che, dicono, si «sta incancrenendo». Solo, nei primi tre mesi del 2014 già 1070 persone hanno bussato al centro d’ascolto cittadino «Le due tuniche», quasi la metà (462) non ne aveva mai avuto bisogne. Ma ad allarmare il direttore Pierluigi Dovis è il raffronto con i numeri dell’anno scorso: erano state 1892 in tutto. Adesso, in tre mesi, la tacca che segna la metà è stata superata. «Se si va avanti così, a luglio non sapremo che fare».
Metà di quelli che bussano al centro Caritas, uno dei tanti, tra parrocchie, associazioni, servizi sociali, lo fanno per la prima volta nella vita. Sono « nuovi poveri». «Persone che erano in situazioni normali, con una casa, un lavoro, una famiglia» chiarisce il direttore. E' questo che preoccupa analizzando il bilancio della Caritas, dove alle persone si cerca di dare una mano, come l’aiuto per pagare una bolletta o un affitto arretrato. E’ il punto più basso mai raggiunto, anche perché diminuiscono i poveri che un lavoro almeno ce 1'hanno: nel 2013 i “primi arrivi” erano stati il 59 per cento, in un caso su 6 gente con un lavoro in tasca. L'anno prima, quando le richieste totali erano state più basse del 26 per cento, il lavoro c'era in un caso su 5. Bussano soprattutto le donne, «non perché più povere, ma perché ci mettono la faccia».
All'inizio della crisi si parlava di «fascia grigia»: persone sul crinale della povertà, con il lavoro a rischio, la cassaintegrazione. «Ma adesso quella è diventa la fascia nera. Non solo sono persone rimaste senza lavoro, ma non sono nelle condizioni di potersi riqualificare - spiega Dovis - La maggior parte ha 40-50 anni, se due anni fa erano a rischio vulnerabilità, adesso sono vulnerate: i risparmi messi da parte, che finora avevano permesso di affrontare la crisi, sono finiti». «Le parrocchie sono assediate e fanno fatica a dare risposta - lamenta Dovis, annunciando il convegno di sabato a Valdocco per la 25esima Giornata Caritas - Anche perché la rete dell'assistenza pubblica e privata sta diminuendo la capacità di assorbimento. Diminuiscono le risorse e si innalza l'asticella dei criteri». E l'assedio si fa sempre più pressante, i profeti lo chiamavano «il grido dei poveri»: «Da depressa la gente comincia ad essere arrabbiata - dicono alla Caritas - Le persone si sentono prese in giro da Stato, istituzioni, chiesa. Alzano i toni, cominciano ad essere stufi, esasperati».
I poveri chiedono cibo. Racconta Dovis: «tanti hanno il frigorifero vuoto». Le famiglie che ricevono la borsa dal Banco Alimentare sono 45mila. Solo Caritas ha distribuito pacchi viveri a 800 persone nei primi tre mesi del 2014,l’anno scorso erano state 1300persone.
Ma le difficoltà sono destinate ad aumentare: «L’Ue ha ridotto da 100 a 35 milioni gli aiuti». Le case temporanee per gli sfrattati, le coabitazioni solidali con gli universitari, il centro per i senza dimora, la raccolta degli abiti,1’appartamento dove i padri separati possono incontrare i figli: i progetti sono tanti. «Ma la strategia è uscire dal piangersi addosso, spingendosi verso la speranza nei confronti di quelle che papa Francesco chiama "periferie esistenziali"». Nascerà presto anche una «vetrina» in via Giolitti per i prodotti dei senza dimora e uno sportello per i giocatori d’azzardo. Ma la novità più recente è quella di portare a teatro i poveri: al Regio, confusi tra il pubblico, già 800 persone sono andate ad assistere all'E1isir d’amore, al Concerto di Natale, e l’a1tro ieri a Una tragedia fiorentina. Dice Dovis: «Ai poveri serve anche cultura».
Gabriele Guccione

(Repubblica 27 marzo)