lunedì 14 aprile 2014

"Una risorsa contro la deriva"

C’è qualcosa di buono e di pericoloso insieme nella famiglia allungata. C'è l’affetto, il sostegno, ci sono valori spirituali importanti. Ma nel permanere troppo in un guscio protetto, tra conflitti che non esplodono, il rischio per i giovani è quello di ritrovarsi a vivere in un ambiente depressivo e ripiegato su di sé». Un nido troppo caldo cioè, che non permette di spiccare il volo. Per Luigi Zoja, psicanalista junghiano, narratore dell’anima e dei miti, dei padri che cambiano nel “Gesto di Ettore" e dunque dei nuovi rapporti genitori-figli, la "famiglia infinita” è un contenitore di chiaroscuri, di forze e di sentimenti contrastanti.
Zoja, come si vive in queste famiglie dove figli non vanno più via?
«Credo che nello stile mediterraneo ci siano dei forti aspetti positivi. La solidarietà, il sostegno tra generazioni. La cura dei più deboli di cui si fa ancora eroicamente carico la famiglia. Il cibo, lo stare insieme come aiuto reciproco. In questo noi siamo diversi da tutti gli altri. Positivamente diversi».
E i giovani come si sentono? Non c'è qualcosa di regressive nel coabitare cosi a lungo?
«Sì, se la convivenza viene protratta per troppo tempo. I conflitti magari non esplodono, ma questo non vuol dire che non ci siano, o che non si respiri un’atmosfera depressiva. Non credo ad esempio che gli adulti siano neutri rispetto alla vita sessuale dei figli, ai loro comportamenti, che forse non condividono. Pero c’è tolleranza. I genitori e i nonni sostengono con enorme generosità le nuove generazioni, ma il paradosso e che così i giovani diventano poco adattabili, più conservatori, meno inclini a rischiare».
Un po’ viziati insomma?
«I ragazzi chiedono e cercano la loro autonomia, ma certo è diverso vivere con un clan di adulti, invece che con altri ventenni in un rapporto alla pari. Misurandosi, sfidandosi. Ma in un momento tanto drammatico, in questa crisi economica sempre più dura, a me sembra che la cultura familiare ancora così forte in Italia, sia una straordinaria risorsa contro la deriva psicologica e sociale».
Ma come si comportano i genitori verso figli ormai adulti e i figli verso madri e padri di cui si sentono già pari?
“E evidente che non esistono più le regole del patriarcato, nemmeno in queste nuove famiglie allungate. C'è la coppia dei genitori e quasi sempre un figlio unico. Ma la coppia, là dove è rimasta integra, non è più un fronte comune come accadeva nelle generazioni precedenti, ma privilegia con il figlio un rapporto autonomo. E il fatto che questi siano adulti non è un problema: le relazioni sono trasversali, sono generazioni cresciute già in un rapporto paritario con il mondo dei grandi.
Lei ha parlato dello stile mediterraneo...
“E un modo di dimostrare l’affettività. Il cibo ad esempio. Fondamentale nelle famiglie italiane. un prendersi cura gli uni degli altri. I giovani mangiano a casa, nelle famiglie si cucina. I ragazzi inglesi consumano da soli e davanti alla tv cibi precotti e hanno uno dei tassi di obesità più alti in Europa. Devo di re che dopo molti anni oggi mi ritrovo in certi messaggi della Chiesa. La crisi rischia di aumentare la frammentazione in cui viviamo, i vecchi abbandonati negli ospizi, i malati in ospedale, in questo senso la famiglia è uno scudo, uno schermo buono».
Anche se i ”ragazzi” restano a casa fino a 35 anni?
 «Naturalmente no. Lo sforzo deve essere quello di aiutarli ad uscire. Abbiamo di certo qualcosa da imparare dai paesi anglosassoni dove l’autonomia dei giovani è considerata fondamentale. Senza perdere però la grande forza della nostra cultura mediterranea, dove la famiglia è ancora oggi il porto affettivamente più saldo». (m.n.d.1)

(Repubblica 1 aprile)