domenica 1 giugno 2014

Il teatro necessario nel carcere di Marassi

L'Italia è un paese molto malconcio che nutre in sé fra le sue molte contraddizioni intollerabili che non cessano di  perpetuare con deprimente inesorabilità: quella fra il mainstream di una classe dirigente politica, e non solo, tendenzialmente malintenzionata nei confronti dei cittadini onesti e minoranze di singole persone o gruppi che con commovente generosità nuotano controcorrente per mantenere aperti spazi di civiltà, di cultura, di sapere, per aprire piccole-grandi luci di dignità e di speranza anche al Belpaese.
Mentre la casta si esibisce mediocremente nella retorica e nella falsa coscienza di dichiarazioni fruste del tipo: «Siamo un grande Paese, siamo stati la quinta, (poi la sesta, quindi la settima e via discendendo) economia mondiale», i grandi osservatori internazionali da lustri segnalano i nostri deficit e le nostre paurose arretratezze in ambiti decisivi per stabilire la qualità di un tessuto sociale, come l'esercizio della giustizia, l'accesso ai diritti, la liberta di stampa, i conflitti di interesse il sistema carcerario.
E proprio i tratti di barbarie di quest' ultimo sono la principale delle vergogne alle quali, l'Europa (oggi si dice cosi non è vero?) ci ha chiesto di mettere immediatamente fine. Fra essi spicca quella dell' esiguo spazio di vita concesso ai carcerati, meno di quello elargito alle povere bestie condotte al macello.
Ora, mentre il nostro governo, con molta calma, si mette in moto per farci uscire dall'infamia, ma solo «perché ce lo chiede l'Europa», un manipolo di donne e uomini di teatro, «il teatro necessario», in alleanza con un coraggioso e lungimirante direttore di carcere ha dato vita ad un magnifico atto di civiltà dell'uomo che in un luogo di reclusione illumina l'orizzonte di un'altra Italia possibile.
Il carcere Marassi di Genova non solo ospita da anni corsi di teatro e di didattica teatrale nei suoi aspetti artistici, propedeutici, ma promuove anche laboratori di illuminotecnica, di falegnameria scenotecnica aperti anche ad altre popolazioni carcerarie, ma ha compiuto il miracolo di fare nascere, nel recinto del carcere, un vero e proprio edificio teatrale, tutto in legno trattato con gli ultimi ritrovati in termini di sicurezza anche grazie ai contributi di Fondazioni bancarie e culturali, di teatri genovesi e delle istituzioni pubbliche liguri.
Tutto ciò all'insegna della consapevolezza che chi si trova in carcere non sia un sepolto vivo ma sia parte comunque integrante della società, in attesa della piena titolarità per rientrarvi e che, inaugurare una relazione culturale ed emozionale fra chi sta «dentro» e chi sta «fuori» - il teatro sarà aperto alla città - crei perciò stesso un agire sociale che trasforma la violenza in incontro e conoscenza. Un teatro così è davvero necessario.

Moni Ovadia