sabato 5 luglio 2014

I maldestri cecchini romani

Quando i sondaggi tendevano al nero c'era nel Pd chi aveva già trovato in Marino un comodo colpevole, ed era pronto a chiedere la testa del sindaco. Dopo le elezioni gli stessi ci spiegano che visto il grande successo non c'è più bisogno di un sindaco troppo autonomo dal partito e dalle sue sub correnti. Mentre i romani hanno mostrato di credere ad una nuova idea d'Europa molto oltre le stesse aspettative dei dirigenti romani del Pd, gran parte del partito romano ha continuato a guardarsi l'ombelico. La Capitale d'Italia diventa il posto in cui il provincialismo politico tocca il suo culmine. Non è che Marino e la sua giunta non abbiano problemi. Di operatività e di consenso. Del resto è normale che ad un anno dalle elezioni i sindaci tocchino il punto più basso di popolarità. I conti del passato (a Roma pesantissimi) ti pesano addosso, e i cittadini ancora non vedono il nuovo. Sparare sul sindaco in questa fase è davvero come sparare sulla Croce rossa. Il problema è che poi i proiettili sono indirizzati verso le cose che contrassegnano più positivamente la sua azione. L'autonomia e la piena assunzione di responsabilità nella scelta dei dirigenti e dei cda delle controllate, la rottura coi poteri forti e con quei meccanismi che in tanta parte d'Italia alimentano corruzione, sprechi, e portano la politica nella cronaca nera. Se nel Pd si smettesse di pensare a come far fuori il sindaco e a come piazzare qualche nome più controllabile nella giunta e nei centri di potere, si potrebbe provare a dare un contributo su quanto è davvero urgente. E' incredibile ad esempio che a Roma non parta una discussione seria sulla città metropolitana. Per decidere se, dopo la fine delle Province, entreremo in una fase di centralismo regionale o se aumenteranno le possibilità per la città e i suoi cittadini di governare le questioni decisive. La scuola, la ricerca, le politiche del lavoro. Lo stesso rapporto con le istituzioni europee. E di come Roma capitale abbia bisogno di uno spazio di autonomia ancora più ampio di quello delle altre città metropolitane. In maniera strutturale, fuori dalle emergenze. Così come sia il sindaco che il partito non sembrano dare il rilievo che merita alla crisi della cultura, portata allo scoperto dalle dimissioni di Flavia Barca. Non è una questione di nomi e di dimensioni del rimpasto. E' in gioco la centralità della cultura nel disegnare un'idea di sviluppo sostenibile. E' quello che hanno saputo fare molte citta d'Italia con una dotazione culturale molto inferiore a Roma. E' incredibile che non sia una priorità.
Andrea Ranieri

(Left 14 giugno)