venerdì 18 luglio 2014

Il campo rom tra i veleni nella discarica di Gugliano

UN ATTACCO GENIALE, UN'IMMAGINE ACCATTIVANTE PER INIZIARE IL SERVIZIO, anche qualcosa meno può bastare, giusto per convincere il lettore o il telespettatore a restare incollato mentre già pensa: «o dice qualcosa di originale nelle prossime tre righe oppure passo oltre». Questa è la prima regola del giornalismo che insegnano nelle scuole pensate per formarti al mestiere, ed ecco perché ci ho messo tanto a iniziare questo pezzo. Chiaramente senza trovare un incipit geniale.
Come poi nel tempo ho buttato a mare quelle regolette imparate sui banchi, quando inizi a fare questo lavoro capisci che è tutta un'altra cosa. E soprattutto istinto, per come la vedo io, la capacità di scommettere sull'importanza di un accadimento piuttosto che di un altro. Qualcuno lo chiama «senso della notizia», chi scopre di possederlo è un giornalista fortunato. E poi, semplicemente, è passione del racconto, per quelle storie che nessuno ha la voglia di stare a sentire, e la cronaca è uno dei pochi settori che ti concede questo privilegio. Il servizio sul campo rom di Giugliano, scelto dalla giuria del Premio Luchetta, ne è un esempio: «Qui non è mai voluto venire nessuno» ci hanno detto quando abbiamo acceso la telecamera, e io ho pensato ancor di più di essere nel posto giusto. E' bastato far raccontare a quelle famiglie come il Comune avesse deciso di sistemare i rom in un campo «casualmente» posizionato su una discarica tossica prima che i bambini iniziassero ad ammalarsi, per illuminare un pezzo d'Italia che meritava di avere voce.
C'è solo una regola dei corsi di giornalismo che ho deciso di conservare: "questo mestiere va fatto con serietà ma senza mai prendersi troppo sul serio», diceva, e io me lo ripeto tutte le mattine mentre vado a lavoro.
Flavia Paone

(L'Unità 1° luglio)