sabato 6 dicembre 2014

Strana coincidenza, il 15 luglio partiva questa lettera

Al Vescovo di Roma.
Caro Fratello Francesco,
quando ho ricevuto dal mio vescovo l'ordinazione presbiterale (sette papi or sono) tu eri ancora studente: mi permetto dunque questo tono colloquiale, che però vuole anche essere espressione di vera fraternità evangelica.
Avevo ritenuto che il servizio presbiterale meritasse il mio impegno al celibato ma, dieci anni dopo, e con dieci anni di esperienze pastorali molto coinvolgenti, mi ero convinto che il mio modo di svolgere il servizio presbiterale nella grande casa della Chiesa cattolica era uno dei mille modi di vivere il presbiterato e che, nel mio caso, il celibato non solo fosse inutile, ma decisamente dannoso.
Lo dissi a tutti miei amici (compresi i "superiori"), chiesi e ottenni la dispensa e mi sposai nella sacrestia del duomo stesso in cui avevo ricevuto l'ordinazione, fra molti amici. Poche ore prima avevamo già celebrato il rito civile in municipio, proprio per escludere l'effetto-Concordato.
Il rescritto con cui mi fu comunicata la dispensa era offensivo per me e per mia moglie, che veniva definita cortesemente "complice", ma eravamo abbastanza contenti da non farci troppo caso.
Tutti ci conoscevano e per tutti continuavamo a essere quello per cui ci avevano conosciuti. Da allora ho sempre lavorato come avevo sempre fatto, convinto di proseguire sostanzialmente nell'impegno presbiterale, pur attenendomi alle regole della "dispensa". La situazione laicale non è affatto incompatibile con i compiti presbiterali (salvo qualche dettaglio canonico del tutto marginale) e la gente lo capisce al volo. I "carismi" connessi ai compiti di "magisterii, ministerii, regiminis" permangono. Si insegna, si serve, si governa con modalità diverse, qualunque sia la "terra di missione" in cui ci si trova a operare "ad maiorem Dei gloriam".
Ti affido dunque queste mie riflessioni, come un regalo, allo scadere del mio cinquantacinquesimo anniversario di ordinazione presbiterale. Potrebbero esserti utili, mentre stai ripensando alla questione dei "preti sposati".
In primo luogo, direi che il presbiterato post-tridentino è progettato per un prete celibe. Non si può ignorarlo e non si può conservare questo impianto con la concessione della "dispensa" perché tutto resti come prima. Chi vuole sposarsi deve reinventarsi un modo molto diverso di essere prete.
Secondo: tutti gli organismi sociali (per esempio i sindacati e i partiti) hanno dei "permanenti" (o "funzionari" nel senso migliore) e non impongono loro il celibato, benché i compiti loro affidati interferiscano non poco con la vita di coppia e di famiglia. Tutti conosciamo i pericoli connessi: burocratismo, corruzione, infedeltà coniugale, disgregazione delle famiglie, ecc. E' un problema per tutti.
Terzo: l'istituzione dei diaconi permanenti avrebbe potuto fornire un'esperienza utile al ripensamento dei modelli pastorali, ma ha mancato l'obiettivo. Per la maggior parte dei casi è stato un modo per procurarsi gratis dei sacrestani d'alto profilo. E inspiegabile (o forse no) che il diaconato conferito a suo tempo ai preti dispensati e sposati, come ultimo ordine prima del presbiterato, sia stato del tutto ignorato dai canonisti e dai teologi vaticani quando hanno "inventato" i diaconi permanenti.
Se si ufficializza la figura ecclesiastica del prete "uxorato", bisogna  immediatamente porsi il problema dei preti separati o divorziati e non aspettare trent'anni per poi stracciarsi le vesti. In Italia c'è, in più, la complicazione concordataria.
Quarto: attenzione a non continuare a commettere l'errore di introdurre una regola canonica che permetta il matrimonio dei presbiteri senza considerarli a tutti gli effetti come cristiani in coppia, che si devono preparare al matrimonio: quindi va ripensata e integrata anche la pastorale degli sposi. Ti raccomando questo punto, soprattutto da parte di Isa, mia moglie, con cui ne abbiamo parlato molto in questi anni.
Quinto, ma importantissimo: non si deve pensare al matrimonio dei preti come un provvedimento per prevenire la pedofilia ecclesiastica. Il matrimonio cristiano è ancora profondamente condizionato dall'ottica di Agostino (che qualche problema l'aveva!) sul "remedium concupiscentiae".
Grazie per il paziente ascolto e buon lavoro (che certo non ti manca).
Ti benedico, e ti chiedo di fare altrettanto,
Asti, nella domenica del Seminatore,
13 luglio 2014.
Gianfranco Monaca - presbitero della Diocesi di Asti

(Chiedo fraternamente al Vescovo di Asti di inoltrare questo scritto al Destinatario)

(Tempi di fraternità, novembre 2014)