martedì 3 marzo 2015

PREDICAZIONE DI FRANCESCA GIACCONE 1 MARZO A PINEROLO


Pinerolo, 1 marzo 2015
Marco 9,2-10

2 Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e li condusse soli, in disparte, sopra un alto monte. E fu trasfigurato in loro presenza; 3 le sue vesti divennero sfolgoranti, candidissime, di un tal candore che nessun lavandaio sulla terra può dare. 4 E apparve loro Elia con Mosè, i quali stavano conversando con Gesù. 5 Pietro, rivoltosi a Gesù, disse: «Rabbì, è bello stare qua; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». 6 Infatti non sapeva che cosa dire, perché erano stati presi da spavento. 7 Poi venne una nuvola che li coprì con la sua ombra; e dalla nuvola una voce: «Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo». 8 E a un tratto, guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo.

9 Poi, mentre scendevano dal monte, egli ordinò loro di non raccontare a nessuno le cose che avevano viste, se non quando il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. 10 Essi tennero per sé la cosa, domandandosi tra di loro che significasse quel risuscitare dai morti.

Quello che abbiamo ascoltato è un testo ricco di simbologie sicuramente comuni per il lettore del primo secolo, forse un po’ meno a noi che abbiamo sempre bisogno di decifrarle.

Il testo inizia con un’indicazione temporale, sei giorni dopo, e con un’indicazione di tipo relazionale, Gesù conduce in disparte tre dei suoi discepoli. Accade altre volte che Gesù prenda in disparte, accade in particolare, quando i suoi non riescono a capire appieno ciò che egli dice (per esempio, quando non capivano il significato delle sue parabole Mc 4,34). Gesù chiama tre dei suoi, li chiama in disparte e li conduce su un monte. Il monte è, nel mondo biblico, il luogo della manifestazione della Shekhinah, della presenza di Dio, il luogo per eccellenza dove Dio si manifesta.

Ecco, già queste due piccole notazioni mi fanno sentire presa per mano, io come tanti fratelli e sorelle, io che faccio fatica a capire, io che man mano che il tempo passa vengo assalita da dubbi e incertezze … posso contare sul fatto che il Signore non ha paura di perdere tempo con me e prendermi in disparte per spiegarmi meglio, per ricominciare il dialogo, per farmi guardare la realtà con occhi diversi.

Gesù ha appena annunciato la sua morte, tutto pare finire, le passioni che hanno animato i cuori dei discepoli per tanto tempo accanto al loro maestro pare che non possano che spegnersi, quello che si vive è un senso di sconfitta, quello che si prova è l’angoscia di chi si prefigura un’inevitabile fallimento.

Lo sconcerto che provano i discepoli quando cercano di rileggere (e scrivere) le storie del loro maestro morto in una maniera così infamante è sicuramente lo stesso sconcerto che anche noi proviamo di fronte a promesse non mantenute, di fronte alle disillusioni dei tempi. Noi incapaci di trovare le parole per esprimerci di fronte a tanto dolore, a tante guerre, … noi sempre più impotenti di fronte a rotture che non sappiamo recuperare, …

Ma (tornando al testo) “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e li condusse soli, in disparte, sopra un alto monte”.

Senza sconti, senza sottrarci alla fatica della salita (chi cammina in montagna può immaginare quello a cui penso), senza toglierci la sensazione di rimanere senza fiato mentre passo dopo passo saliamo sul monte … Gesù ci porta su un luogo alto e in quel luogo pare che la realtà assuma una forma diversa.

Qui il testo ci racconta un evento che ha a che fare con la visione, la visione è un atto percettivo, è un evento che ha a che fare con il guardare e il vedere.

C’è l’atto del guardare, che coinvolge, prima di tutto, ciò che stiamo guardando, poi i nostri occhi e la capacità del nostro cervello di rielaborare gli stimoli che riceve dai nostri occhi. E poi c’è il vedere, che coinvolge ben poco ciò che stiamo guardando ma molto di più il modo con cui noi prestiamo attenzione ad esso, il modo con cui la nostra mente rielabora gli stimoli che riceve.

Sembra che noi stiamo diventando sempre più disattenti a quello che guardiamo, lo sguardo sempre più fisso su un piccolo schermo a illudere noi stessi di essere così più informati, più presenti a ciò che accade nel mondo, a illuderci di coltivare meglio le relazioni in questo modo … e intanto il nostro campo visivo si riduce sempre di più. Perdiamo la capacità di guardare e con essa la gioia dello stupore, del meravigliarsi; perdiamo anche la capacità di porre attenzione a ciò che accade intorno a noi, e allora gli eventi ci sfuggono con pesanti conseguenze.

Più volte, nei testi evangelici, ci vengono riportati brani che risuonano come un invito ad evangelizzare il nostro sguardo, ad educarlo ad osservare prestando attenzione alle cose piccole, ai dettagli, alle cose poco appariscenti, alle persone poco in vista.

Ma l’esperienza visiva che il nostro testo ci porta a fare, ha ancora un carattere diverso: Gesù appare trasfigurato, la realtà che i discepoli stanno vivendo in tutta la sua cupezza appare diversa. La realtà che noi stiamo vivendo in tutta la sua cupezza ci appare diversa. Gesù pare chiamarci in disparte, proprio nel momento più duro e difficile per porci di fronte al fatto che la realtà è diversa da come ce la stavamo prefigurando. Quello che stavamo vivendo come fine, come fallimento, può cambiare forma e diventare inizio, quello che credevamo buio e cupo può cambiare forma e diventare luminoso. Nel momento in cui, nelle nostre vite tutto sembra metterne in evidenza la perdita e la chiusura, Gesù pone ognuno di noi di fronte alla possibilità di guardare la bellezza e la luce che la vita stessa custodisce.

E uno degli aspetti più sorprendenti che questo testo fa risplendere sotto una luce nuova, trasformante, è quella della tensione tra Gesù, la legge e la profezia .

E apparve loro Elia con Mosè, i quali stavano conversando con Gesù”.

Certo, Marco aveva bisogno di dare delle garanzie a chi si interrogava sul fatto se il Dio di Gesù fosse o meno lo stesso Dio della Torah. Il nostro testo ci dona una meravigliosa immagine pervasa da un senso di armonia. Si placano le contrapposizioni (di cui ancora oggi non riusciamo a fare a meno).

La tensione tra fede e incredulità si allenta, i dubbi dei discepoli come i nostri, si sciolgono, le distanze si accorciano, le contrapposizioni ideologiche si appianano, … sul monte, con Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni, viviamo una pausa, una pausa armonica, come un tempo sabbatico, ricevuto in dono. … (e solo Dio sa quanto abbiamo bisogno di queste pause!)

Ben posto dopo le indicazioni che Gesù stesso aveva dato ai suoi discepoli circa la sequela questo testo ci ricorda:

  • da dove veniamo: siamo anche noi il popolo che ha ricevuto la Legge a cui essere obbedienti (Mosè – la Legge), siamo anche noi il popolo che deve recuperare il coraggio di essere voce scomoda nella ricerca della giustizia (Elia – i profeti);
  • e poi il nostro testo ci ricorda ancora dove stiamo andando: possiamo porci con fiducia sul cammino indicato dal maestro.

Siamo chiamati, alla sua sequela, ad essere dei narratori ed annunciatori del Regno.

Ma tale armonia non sarà una condizione a lungo prolungabile nel tempo, il comprensibile desiderio umano di abitare a lungo il tempo della rivelazione non può essere soddisfatto.

A noi, come a Pietro piacerebbe dare stabilità a questa condizione, ma dal monte bisogna scendere, la nostra vocazione di discepoli e discepole non è quella del restare ma quella del partire, anzi … la nostra vocazione è quella del ri-partire.

E allora il tempo della discesa arriva presto, ma anche allora Gesù sta a fianco dei discepoli, dopo aver condiviso il tempo straordinario della pienezza e della rivelazione, Gesù ci accompagna in discesa verso il tempo quotidiano. Ci prende per mano e ci accompagna nel faticoso passare dai nostri desideri ai sogni di Dio. A noi, come ai discepoli di allora, il compito di continuare il cammino, di scendere dal monte per seguire la strada indicata dal maestro, una strada fatta di infiniti ricominciamenti in cui ogni realtà, anche quella più buia, illuminata dalla sua Parola, può essere trasfigurata.