lunedì 6 aprile 2015

Attivisti israeliani contro l’occupazione

Sono arri­vati alla spic­cio­lata men­tre il flusso di fedeli musul­mani che aveva affol­lato la Spia­nata della moschee per le pre­ghiere del venerdì, lasciava la città vec­chia pas­sando per la Porta di Damasco, facendo lo sla­lom tra le ban­ca­relle di ambu­lanti decisi a ven­dere tutto.
Poi poco alla volta il numero degli atti­vi­sti israe­liani con­tro l'occupazione è aumen­tato. Alle 13.30, l'ora del raduno, erano più o meno 150. Pochi ma fino a un certo punto se si con­si­dera che Israele ha appena ricon­fer­mato al potere, con un mezzo ple­bi­scito, Benya­min Neta­nyahu, il suo par­tito Likud e il resto della destra. Tra gli atti­vi­sti alcuni volti noti di tante bat­ta­glie, quasi tutte perse, ma anche gio­vani, ragazzi delle scuole supe­riori. Hanno issato gli stri­scioni con le scritte "Stop all'occupazione", "Fer­mate la colo­niz­za­zione di Geru­sa­lemme", "No all'espulsione dei pale­sti­nesi", e tra rulli di tam­buri si sono avviati verso via Salah Edin, l'arteria com­mer­ciale della Gerusalemme araba.
La poli­zia è inter­ve­nuta subito seque­strando stri­scioni e car­telli. Gli agenti a cavallo hanno fatto capire di essere pronti ad inter­ve­nire. Il cor­teo per­ciò si è sciolto per evi­tare scon­tri che, come sempre accade da que­ste parti, alla fine avreb­bero visto i pale­sti­nesi e non gli atti­vi­sti israe­liani avere la peg­gio. Ma si è rico­sti­tuito a distanza di poche cen­ti­naia di metri, verso la Porta di Erode, dove i par­te­ci­panti hanno ripreso a scan­dire slo­gan.
La mani­fe­sta­zione è ter­mi­nata alcuni minuti dopo. «Siamo pochi, nes­suno può negarlo eppure è impor­tante ripren­dere la nostra lotta assieme ai palestinesi, con­tro l'occupazione, il raz­zi­smo, l'apartheid», dice Asher, che pre­fe­ri­sce non usare il suo vero nome. «Si è fatta dura per chi non pensa come vuole il sistema - spiega - in que­sti ultimi due-tre anni lo Sha­bak (ser­vi­zio segreto interno, ndr) ha minac­ciato tanti di noi. Subiamo per­qui­si­zioni, inter­ro­ga­tori. Siamo sor­ve­gliati, le nostre ong ed asso­cia­zioni sono prese di mira. Ci chia­mano tra­di­tori, dicono che fac­ciamo il gioco dei ter­ro­ri­sti, degli arabi».
Eppure, nono­stante la soli­tu­dine poli­tica per­sino peg­giore delle inti­mi­da­zioni, Asher assi­cura che andrà avanti. «È molto impor­tante denun­ciare quanto subi­scono i pale­sti­nesi - aggiunge - l'aggressività dei coloni (israe­liani) sta aumen­tando con il pas­sare dei mesi. Due fami­glie (palestinesi) rischiano di essere but­tate fuori dalle loro case, la Sob Laban nella città vec­chia e la Sha­ma­sne nel quar­tiere di Sheikh Jarah. I coloni inten­dono creare un anello di inse­dia­menti intorno alla città vec­chia, per assi­cu­rare il con­trollo di Israele su tutta Gerusalemme».
Della mani­fe­sta­zione, sep­pur pic­cola, degli atti­vi­sti israe­liani non c'è trac­cia sui mezzi d'informazione inter­na­zio­nali. Molto più spa­zio ha tro­vato la "gene­ro­sità" del pre­mier Neta­nyahu che ha dato il via libera alla resti­tu­zione all'Anp di Abu Mazen dei fondi pale­sti­nesi – cen­ti­naia di milioni di dol­lari - frutto della rac­colta di tasse e dazi doga­nali che aveva con­fi­scato nei mesi scorsi dopo la deci­sione della Pale­stina di ade­rire alla Corte penale inter­na­zio­nale.
L'ufficio del pre­mier parla di deci­sione det­tata da con­si­de­ra­zioni di carat­tere uma­ni­ta­rio. In realtà sono state le pres­sioni dei ser­vizi segreti e dell'esercito che hanno descritto l'Anp sul punto di crollare, con decine di migliaia di dipen­denti pub­blici pale­sti­nesi rima­sti senza sti­pen­dio per mesi, inclusi gli agenti del mukha­ba­rat che col­la­bo­rano atti­va­mente con la sicu­rezza israe­liana.
Pare che il mini­stro della difesa Yaa­lon abbia spie­gato a Neta­nyahu che la fine dell'Anp è con­tro, prima di tutto, gli inte­ressi di Israele. Vedremo come il nuovo governo israe­liano rea­girà dopo il Primo aprile, quando sarà uffi­cia­liz­zata l'adesione della Pale­stina alla Cpi. Si guarda all'atteggiamento di Abu Mazen. Voci insi­stenti rife­ri­scono che i ver­tici pale­sti­nesi, con­tra­ria­mente a quanto hanno dichia­rato dopo la ricon­ferma di Neta­nyahu, ritar­de­ranno la richie­sta di inda­gine con­tro Israele per cri­mini di guerra.
Più spa­zio avrebbe meri­tato il rap­porto "Vite Spez­zate" pre­sen­tato que­sta set­ti­mana da Ocha, l'ufficio per il coor­di­na­mento degli affari uma­ni­tari dell'Onu, che rife­ri­sce che il numero di civili pale­sti­nesi uccisi da Israele nel corso dell'ultimo anno in Cisgior­da­nia e a Gaza ha supe­rato 1.500, il più alto da quando è ini­ziata l'occupazione nel 1967. Gran parte sono morti nei bom­bar­da­menti su Gaza della scorsa estate o sono stati col­piti durante raid nei campi pro­fu­ghi o per disper­dere manifesta­zioni con­tro l'occupazione. In tutto, l'anno scorso gli israe­liani hanno ucciso 2.314 palesti­nesi - 2256 di Gaza e 58 resi­denti della Cisgiordania e Geru­sa­lemme Est. Sono stati uccisi anche 85 israe­liani: 66 sol­dati e quat­tro civili, tra cui un bam­bino, durante la guerra di Gaza, altri 15 in Cisgiordania.
Michele Giorgio

(Il Manifesto 28 marzo)