martedì 16 giugno 2015

Usando le parole contenute della Bibbia

SE FOSSE vissuto alla fine del Cinquecento, Sergio Claudio Perroni sarebbe stato chiamato a parlare davanti agli studenti del Collegio Romano, così sant'Ignazio di Loyola chiamò quella che sarebbe divenuta la Pontificia Università Gregoriana, l'università dei gesuiti. Al Collegio, infatti, le litterae humaniores (la letteratura profana) erano articolate assieme alle litterae divinae et sacrae (lo studio della Sacra Scrittura e dei padri della Chiesa), nella consapevolezza che fra Bibbia e letteratura altro non vi può essere che un ponte, un dialogo sempre da rinnovare. E, infatti, il Renuntio Vobis (Bompiani) di Perroni, di questo dialogo si nutre e in modo del tutto singolare: un vecchio papa, che da tempo ha rinunciato al ministero petrino, si confronta con un giovane frate. Un dialogo fitto, creato usando versetti del Vecchio e del Nuovo Testamento e dell'Imitazione di Cristo. Il papa medita sulla sua rinuncia in un remoto monastero benedettino, il frate lo interroga sul perché della decisione. Un interrogatorio amaro, che farà dire al papa: «Distogli lo sguardo da me, che io possa piangere amaramente». «Ogni cosa ha il suo momento - gli risponde il frate -, ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo».
La Bibbia come fonte ispiratrice della letteratura. C'è questa verità al fondo di Renuntio Vobis. Una verità che già sintetizzò bene Harold Bloom, quando disse che «la Bibbia, prima di ogni altra cosa, racconta delle storie». Così, invece, George Steiner: «La nostra poesia, il nostro teatro e la nostra narrativa sarebbero irriconoscibili se omettessimo la presenza continua della Bibbia». I versetti biblici in Renuntio vobis non suonano appiccicati a caso. Al contrario, feriscono chi legge e offrono l'opportunità di fermarsi a riflettere: la parola di Dio non smette mai di parlare. E a leggere Perroni viene da domandarsi se egli prima di scrivere non abbia letto il gesuita teologo ed esegeta francese Paul Beauchamp che in L'uno e l'altro Testamento spiega che «la Bibbia è fatta per essere decifrata e risuonare in mezzo alle altre lettere e alla loro esistenza». E ancora: «Non c'è da temere che vi perda la sua tonalità propria» . Perché di certo, risuonano senza perdersi tutte le parole scambiate fra il papa rinunciatario e il frate, un papa che, come pentito per la rinuncia, non può che usare, per esprimere la propria amarezza, parole di Geremia: «Ho cucito un cilicio sulla mia pelle e ho prostrato la fronte nella polvere. La mia faccia è rossa per il pianto e sulle mie palpebre si posa l'ombra di morte».
Paolo Rodari

(la Repubblica 3 giugno)