domenica 27 novembre 2016

GESÙ  PROFETA O POETA

Gesù diventa, allora, il testimone di Dio, la Sua parabola. Imbalsamarlo dentro formule filosofiche facilita quel distacco dal Gesù storico, l'uomo di Nazareth, che tanti danni ha arrecato alla nostra fede. La sequela di Gesù diventa più concreta quando noi comprendiamo che le sue azioni, la sua vita, le sue parole erano un'unica parabola di Dio, una canzone di lode al Dio suo e nostro.
Secondo me è possibile ritrovare questo modo di pensare a Dio, di rivolgersi a Lui, di adorare il Suo mistero e cercare la Sua presenza partendo dalle Scritture e della vita di ogni giorno.
Il discorso sarebbe lungo e io debbo qui procedere per accenni e per rimandi. Gesù fu un profeta, ma non meno fu un poeta. Se le parabole sono la forma caratteristica dell'insegnamento di Gesù (che adotto una forma ampiamente diffusa nel suo tempo), il maestro di Nazareth vuole, con questo linguaggio metaforico fatto di segni, adottare un modo non dogmatico di parlare di Dio. Gerd Theissen scrive che "questo linguaggio non vuole testimoniare che cosa si pensava in ogni caso di Dio. Non vuole prescrivere che cosa si deve pensare di Lui. Intende dare impulsi a pensare su di Lui in termini sempre nuovi e diversi" (Il Gesù storico, Queriniana, pag. 425). Se la poesia delle parabole è fatta di segni e immagini che dischiudono la realtà, esse danno un impulso continuo e sempre nuovo per la riflessione e la condotta: sensibilizzano nei confronti della presenza di Dio, di cui non si può disporre. In questo agire "umanamente" di Dio ci vengono offerte molte occasioni per cambiare, per convertirci. Non, quindi, una teologia e una morale tranquillamente elaborate e pronte ad ogni uso, ma "provocazioni", interrogativi, paradossi, prospettive che inviano al movimento, che sollecitano a decidere, a rischiare. Un invito all'etica del rischio.

Franco Barbero, 2001