sabato 3 dicembre 2016

SEBBEN CHE SIAMO DRUSE

Che c'è di strano a lavorare? Niente. Oppure tutto, se si è donne e si fa parte della Comunità drusa, una delle più antiche e impenetrabili del Medioriente, nate da una branca minoritaria dell'Islam sciita. Per secoli le donne druse, benché nessun dogma o precetto lo proibisse esplicitamente, hanno avuto divieto assoluto di studiare, uscire di casa e lasciare il loro villaggio senza essere accompagnate dal padre, dal fratello o dal marito.
Poi, inevitabilmente, il mondo ha bussato anche alle loro porte e, dagli anni '90 in poi le giovani druse hanno iniziato ad avere possibilità (e pretese) inconcepibili per le loro madri o le loro nonne: alcune hanno studiato, altre sono andate all'università, altre ancora hanno intrapreso una carriera lontano dal posto in cui erano nate. Un primato della generazione degli anni '80 e '90. Da cui erano però rimaste fuori le donne delle generazioni precedenti che solo ora stanno cominciando a sperimentare una prima forma di indipendenza: iniziando a lavorare.
Grazie a una serie di finanziamenti del governo di Tel Aviv destinati a favorire il lavoro femminile e l'imprenditorialità dei gruppi di lingua araba in Israele, nel villaggio di Hurfeish, una manciata di case nel nord del Paese, è nata la prima cooperativa di donne druse lavoratrici. Fanno piccole cose, centrini, ricami, spille, vestiti, specialità gastronomiche per turisti e ristoranti; niente di che. Ma per la storia del loro popolo e soprattutto per loro, che non avevano mai rivolto parola a un estraneo, è una vera rivoluzione.
«I capi religiosi della comunità ci hanno sempre detto che non potevamo fare nulla fuori di casa, e che anche studiare era fuori discussione - spiega Janan Faraj Falah, docente di studi di genere all'Arab Academic College di Haifa, e prima donna drusa a prendere una laurea e un dottorato - era una forma di controllo. Ma era anche un disperato tentativo di conservare le tradizioni, di non far entrare il presente nella nostra storia. Ma le cose sono cambiate prima per noi figlie, poi per le nostre madri».
L'idea della cooperativa è di una delle giovani druse che hanno studiato, Afaf Genem, 38 anni: è stata lei a proporre a un gruppo di donne di vendere il proprio artigianato domestico. «All'inizio c'era molta ostilità, soprattutto da parte dei capi del villaggio. Ma poi, una volta capito che non avrei chiesto a nessuno di lasciare la casa, ma solo di aprirla, le cose sono cambiate. E in meglio. Anche per i più conservatori, perché per quanto sorprendente possa sembrare in questo modo le nostre tradizioni non solo si conservano, ma si diffonderanno, raggiungendo anche chi non ne avrebbe mai sentito parlare».
Luciana Grasso

(Il Venerdì 25 novembre)