lunedì 20 marzo 2017

Hanno vinto i bambini. Perché nessuno nasce di serie B

È anche, e forse soprattutto una grande vittoria per i bambini che indipendentemente dall'orientamento sessuale dei propri genitori, vedono così finalmente riconosciuto il proprio diritto alla continuità affettiva ossia a quell'insieme di amore tenerezza, bisogni e legami che fin da piccini, stabiliscono con i genitori. «Si tratta di una vera e propria famiglia e di un rapporto di filiazione in piena regola›› si legge nella sentenza che accoglie la richiesta di trascrizione in Italia dell'adozione avvenuta nel Regno Unito. Un rapporto di filiazione che a partire dal momento in cui si mette al primo posto «il superiore interesse dei minori», è d'altronde difficile negare o cancellare.
Allora perché in Italia manca ancora una legge che sia in grado di proteggere l'interesse di tutti i bambini e di tutte le bambine? Perché continuano ancora a esistere bimbi di serie A, nati all'interno di famiglie eterosessuali o dati in affido a coppie sposate da almeno tre anni, e bimbi di serie B, nati all'interno di famiglie omosessuali o dati in affido a single?
Il problema, in Italia, è che in molti continuano a credere che l'unica e vera filiazione sia quella biologica, considerando ovvio (e "naturale") che un figlio sia solo il frutto dell'incontro tra "femminile" e "maschile". Cosa certamente corretta da un punto di vista genetico, ma discutibile da un punto di vista esistenziale e simbolico. Un conto è mettere al mondo un figlio; altro conto è diventarne la madre o il padre. Un conto è avere un legame genetico con la creatura che nasce; altro conto è accompagnarlo, coccolarlo, consolarlo, talvolta anche sgridarlo… in poche parole, permettergli pian piano di "tenersi su da solo", come spiega bene il pedopsichiatra D. W. Winnicott. Anche semplicemente perché nessun essere umano può crescere armoniosamente senza il desiderio profondo di chi, diventato padre o madre, cerca di trasmettergli il senso dell'esistenza, riconoscendolo e amandolo per quello che è.
Ognuno può ovviamente continuare a pensare che sia meglio per un figlio crescere con un padre o una madre – anche se ormai gli studi scientifici mostrano che i bambini cresciuti nelle famiglie omogenitoriali non hanno niente da invidiare a quelli cresciuti nelle famiglie eterosessuali, nel senso che non hanno né meno problemi né più problemi di loro. Non si riesce, però, a capire per quale motivo, per assecondare pregiudizi e stereotipi, si dovrebbero discriminare da un punto di vista giuridico quei bambini che, senza aver scelto nulla – ma chi di noi sceglie i propri genitori o il Paese in cui nasce o i valori che gli vengono o meno trasmessi – vivono già con due uomini o con due donne considerandoli legittimamente come i propri genitori. Non hanno anche loro diritto a un riconoscimento pieno dei legami affettivi che stabiliscono con loro?
Michela Marzano

(la Repubblica, 10 marzo)