giovedì 23 novembre 2017

UN AIUTO PREZIOSO PER RICORDARE



Corso Biblico. Torino, 15.11.2017.

I due libri di Samuele.

(Appunti presi durante la conferenza di don

Franco Barbero).

I due libri di Samuele narrano l'inizio della monarchia in Israele e si possono suddividere in cinque parti: 1) I Sam 1 – 7: nascita e ascesa di Samuele; 2) I Sam 8 – 15: regno di Saul; 3) I Sam 16 – II Sam 5: ascesa di Davide; 4) II Sam 5 – 20: regno di Davide; II Sam 15 – 24: ribellione di Assalonne.
Il primo libro inizia con la storia di Anna, donna sterile, ma che diverrà , per grazia del Signore la madre di Samuele, il primo profeta di Israele dopo Mosé. Si tratta di una narrazione incantevole, piena di tenerezza (ad esempio, quando il marito di Anna la consola dalla tristezza di essere sterile: “Perché é triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?”, 1, 18), dalla quale la figura di Anna emerge come una donna di profonda religiosità ed al tempo stesso di carattere forte ed intraprendente; dalla sua bocca di donna semplice del popolo esce una preghiera (2, 1 – 10) che è un inno magnifico alla grandezza di Dio e che ispirerà il Magnificat.
Segue per contrasto la descrizione della corruzione dei figli del sacerdote Eli ( 2, 12 – 17), i quali approfittavano della loro posizione per impadronirsi indebitamente delle carni destinate ai sacrifici. Si tratta di una retrodatazione poiché al tempo di Samuele il tempio non era ancora stato costruito.
Poi la scena cambia (2, 18 - 21) e si parla di Samuele bambino al servizio del tempio in una scena di profonda religiosità popolare con espressioni che verranno riprese nei vangeli dell'infanzia di Gesù (“...il fanciullo Samuele cresceva presso il Signore”, 2,21). Il contrasto tra la corruzione dei figli di Eli ed il giovane Samuele che “andava crescendo ed era gradito al Signore ed agli uomini” si fa più intenso e nell'ultima parte del capitolo 2 (vv. 27 – 36) si sviluppa una critica ai sacerdoti che tradiscono la loro missione di accompagnare la preghiera del popolo e così ricadono nella maledizione del Signore. La degenerazione avviene perché non si fa più memoria degli avvenimenti della storia (“non mi sono forse rivelato alla casa di tuo padre, mentre erano in Egitto, in casa del faraone?” 2,27), dell'intervento salvifico di Dio e dei compiti da Lui assegnati alla classe sacerdotale.
Il capitolo 3 contiene lo straordinario racconto della chiamata di Samuele. Il clima generale è di poca attenzione alla volontà di Dio (“La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti” 3, 1), il sacerdote Eli è quasi cieco, ma “la lampada di Dio non era ancora spenta” e Samuele viene chiamato da Dio, ma non capisce subito, finché, si dice, con una espressione piena di tenerezza, che il Signore “si pose vicino a lui” (3,10) per annunciargli di voler fare in Israele qualcosa “che risuonerà negli orecchi di chiunque l'udrà” (3, 11); quando Dio interviene, fa sempre cose nuove, come dice Isaia; e questo qualcosa è un richiamo alla responsabilità in una situazione di degrado. La figura di Eli non è presentata in modo del tutto negativo; egli non ha fatto del male, però è responsabile di non aver esercitato la sua autorità nei confronti dei figli: “...sapeva che i suoi figli disonoravano Dio e non li ha ammoniti” (3,13) e perciò la sua casa sarà punita. Per contrasto invece spicca la figura di Samuele di cui si dice che il Signore era con lui e che egli non “lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole” (3,19), massimo elogio per un profeta.
Samuele si trova ad operare in una difficile situazione di infedeltà di Israele e sente su di sé, come accade solitamente ai profeti, il peso della sua missione.
I capitoli da 5 a 7 contengono una narrazione a volte fantasiosa del conflitto con i Filistei, i quali sconfiggono Israele e sottraggono l'arca, ma vengono puniti dal Signore con piaghe e, per liberarsene, restituiscono l'arca ad Israele. Tuttavia la vittoria giungerà solo quando Samuele entrerà in campo e convincerà gli Israeliti a convertirsi al Signore e rinunciare ai culti idolatrici (cap. 7). La sostanza di questi racconti così ricchi di particolari di un realismo a volte sconcertante, a volte inverosimili (come i numero degli uomini uccisi dai Filistei: 4,2; 4,10), oppure coloriti (come le piaghe delle emorroidi e dei topi mandate dal Signore ai Filistei) è che non basta la presenza dell'Arca del Signore per avere la salvezza, e cioè non bastano i riti e le cerimonie esteriori, ma ci vuole la conversione del cuore: gli Israeliti devono tornare al Signore “di tutto cuore” (7, 3) per poter ottenere la pace. L'arca non serve a nulla se non c'è la fedeltà al patto con Dio. Ovviamente abbiamo imparato che l'immaginario del "Dio giustiziere" va decodificato e interpretato consapevoli del contesto di cultura della violenza e di belligeranza che si respira in questi testi. Il messaggio va colto nel fatto che Dio si colloca dalla parte degli oppressi, ma il linguaggio è totalmente interno al codice violento che oggi riteniamo blasfemo nei confronti di Dio.
Siamo sempre tentati di mettere i nostri panni a Dio, anche quelli sporchi.
Guido Allice