martedì 20 febbraio 2018

RICEVO DA ROSARIO GRECO: UNA PREZIOSA MEDITAZIONE




Il deserto come regno del silenzio

Il deserto. Sempre il deserto. Tocca a ciascuno trovare il proprio deserto,
fatto di solitudine e di silenzio.

Solitudine e silenzio. Lo scorso anno ti avevo proposto una riflessione sulla 

solitudine, quest'anno te ne propongo una sul silenzio.

Il silenzio
È evidente che dire di voler "parlare del silenzio" appare come un paradosso, la stessa espressione si presenta quasi come un bisticcio di parole. Tuttavia bisogna farlo, non fosse altro perché del silenzio bisogna pur farne l'esperienza e, quindi, è necessario spiegarne l'importanza nella vita di un uomo.
Nell'antichità, circa milleseicento anni fa, viveva in solitudine, nei deserti dell'Egitto, un uomo saggio, di nome Ammonas. Fanno riflettere queste sue parole, che furono rivolte ad un discepolo che aveva scelto anche lui di vivere in solitudine:


Caro, mio caro, ti ho mostrato il potere del silenzio, come guarisce interamente e come è pienamente gradito a Dio. Perciò ti ho scritto di essere forte in questa opera che hai intrapresa, affinché tu possa imparare che i santi si sono formati col silenzio1.

Il silenzio guarisce interamente… Il silenzio è opera difficile, vi riesce solo chi è forte… Parole pronunciate con molta decisione; parole, se vuoi, esagerate; parole che non dicono nulla. Perché questo è, infatti, il punto: se non hai mai fatto l'esperienza del silenzio vero, del silenzio profondo, non puoi comprendere chi te ne parla, ma se conosci la sua sostanza e ne hai apprezzato il valore, nessuna parola ti servirà in aggiunta.
Anche in questo senso parlare del silenzio è una contraddizione in termini. Tuttavia, in questa lezione, ho deciso di stare dentro questa contraddizione per almeno qualche minuto, il tempo necessario perché tu possa leggere queste poche righe.

Ho pensato che un buon modo per parlare di questo argomento è quello di seguire il racconto di un'esperienza che un giorno ha fatto uno dei miei maestri, Romano Guardini.

È difficile parlare del silenzio, e io l'ho capito una volta di più al momento di provarmici.
Il silenzio... lo si ritiene essenzialmente una forma del nulla, di quel nulla di cui i filosofi – e i giornalisti – oggi parlano tanto. Essere silenzioso, significa non pronunciare parola. Ma, a pensarci bene, ci si accorge che il silenzio è tutto il contrario del nulla: è pienezza di vita.
È nella natura che troviamo innanzitutto il silenzio. Ciascuno di noi ne ha fatto l'esperienza. Io personalmente ne ebbi la rivelazione, con una singolare profondità, un giorno sulle Alpi. Ero seduto sul bordo del Fex-Tal, in Engadina. Ai miei piedi la valle sprofondava paurosamente; nel fondo, giù in basso, correva il torrente che veniva dal ghiacciaio. Dall'altro lato, c'era il potente risalto delle cime. La valle formava così una immensa culla; ma questa culla non era vuota, era piena di silenzio. Ero solo, non un rumore d'intorno. E tuttavia l'orecchio – quello del corpo e quello dell'anima – percepiva il silenzio. E quel silenzio era qualcosa di così vasto e di così pro fondo che ne ero inondato, come da un mare. E se qualche lieve rumore – il grido d'un uccello, la caduta d'una pietra – veniva a turbare il silenzio, il suono ne risultava insieme così preciso, così puro e così denso che mi sembrava non aver mai inteso l'eguale.
Quando poi scaturisce dall'uomo il silenzio è ancora più significativo.
Significa anzitutto che uno si astiene dal parlare. E non solo da un parlare esteriore ma anche dal parlare interiore: sia, per esempio, che egli cessi di discutere mentalmente con qualcuno, sia che si rifiuti di rappresentare più a lungo un personaggio; si può dire allora che egli ha rinunciato alla parola, fino nell'intimo del cuore. Allora nasce in lui il silenzio; e talvolta, in certe ore, un silenzio largo e potente come un universo, e tale che l'uomo intende la sua vita […].
Ma è necessario per questo il silenzio totale. Se si parla o se si lascia che altri parlino, non si intende nulla.
Ciò sa bene chi ha qualche esperienza della vita interiore. È meno facile comprendere che, se non si sa tacere, la parola non è feconda.
Per colui che non può tenersi dal parlare, le parole si impoveriscono sempre di più. E siccome bisogna pure ch'esse abbiano qualche contenuto è la cattiveria, l'invidia, la gelosia che si insinuano e alimentano il discorso dell'uomo ciarliero.
La parola autentica suppone il silenzio. Parlare significa scoprire qualche cosa, e inserirla in quella fugace creazione sonora che è il linguaggio, per comunicarla agli altri. Ciò suppone un silenzio in cui si possa veramente riconoscere la verità e sentire la vita; una attenzione sempre vigile che permetta d'esser sensibile all'esattezza d'una parola e alla sfumatura d'un accento. È nella misura in cui uno è capace di tacere che egli è capace anche di parlare veramente. E di parlare a un uomo, vale a dire esprimere in maniera chiara e convincente ciò che vuol sapere il suo interlocutore: per chi soffre trovare la parola che consola e dà forza; a chi si vuol bene dire la parola che toccherà il cuore […].
Si vede dunque come questi due termini, parola e silenzio, sono legati uno all'altro. Soltanto chi sa tacere può parlare. Come d'altronde, può parlare soltanto colui che sa tacere. L'animale ignora il silenzio; è semplicemente muto. E quando colui che dice soltanto sciocchezze smette un po' di aprir bocca, vi è solo l'interruzione di un vaniloquio, non il silenzio.
Il silenzio e la parola formano dunque un tutt'uno. Ed è una grande cosa pensare che non esiste alcun nome per questa unità che formano il silenzio e la parola. È un mistero. Io penso che esso svela l'essenza dell'uomo
2.

E mi fa piacere concludere con questa breve, ma efficace riflessione di Thomas Merton:
Quelli che amano il loro stesso fracasso, mal sopportano qualunque altra cosa. Vìolano di continuo il silenzio delle foreste e delle montagne e del mare. Sbucano di continuo in tutte le direzioni con le loro macchine attraverso la natura silenziosa, per paura che un mondo tranquillo possa accusarli della loro futilità. La precipitazione dei loro movimenti nervosi sembra ignorare la tranquillità della natura col pretesto di avere uno scopo. Pare per un attimo che l'aeroplano chiassoso neghi la realtà delle nuvole e del cielo, col suo saettare, il suo rumore, la sua pretesa potenza. Il silenzio del cielo rimane quando l'aeroplano è passato, la tranquillità delle nuvole resterà quando l'aereo sarà svanito. È il silenzio del mondo che è reale. Il nostro fracasso, i nostri affari, i nostri scopi e tutte le vane affermazioni relative ad essi: tutto questo è illusione […].
Se l'aereo passa oggi o domani, se vi sono automobili sulla strada serpeggiante o non ve ne sono, se gli uomini parlano nel campo, se nella casa vi è o no una radio, l'albero produce i suoi fiori in silenzio.Se la casa è vuota o piena di bambini, se gli uomini vanno in città o lavorano i campi con il trattore, se il battello entra nel porto pieno di turisti o pieno di soldati, il mandorlo produce i suoi frutti in silenzio
3.
Se vuoi approfondire:

A. Grün, Il cielo comincia in te. L'attualità della sapienza dei Padri del deserto, Queriniana


T. Merton, La saggezza del deserto, tea


T. Merton, Il clima della preghiera monastica, Garzanti

1 Lettera XII, P.O. XI, 606, in T. Merton, Il clima della preghiera monastica, tr. it. F. Bernardini Marzolla, Garzanti, Milano 1970, p. 51.
2 R. Guardini, Il silenzio, in La Rocca xiii/4 (15/02/1954), p. 6.
3 T. Merton, Nessun uomo è un'isola, tr. it. Benedettine di S. Paolo in Sorrento, Garzanti, Milano 1973, pp. 265-266.