martedì 13 marzo 2018

Papa Francesco e i tre presidenti della Bosnia, un vertice per il dialogo

Bakir Izetbegovic, Mladen Ivanic e Dragan Covic sono i tre titolari della presidenza collegiale della Bosnia-Erzegovina che rappresenta così le sue tre componenti etnico-religiose musulmana, ortodossa e cattolica. Prossimi alla fine del loro mandato, vanno oggi in visita comune da papa Francesco. Non per caso e non per motivi che possano lasciare l'Europa e gli europei indifferenti. Francesco era andato "pellegrino di pace e di dialogo", in questo fazzoletto insanguinato dei Balcani nel giugno del 2015. Alla piccola Repubblica che incontra di nuovo il papa di Roma, Francesco aveva allora dato atto di essere passata «dallo scontro alla cultura dell'incontro» e di aver aperto una "primavera" della riconciliazione.
Primavera oggi minacciata dal risorgere di tensioni antiche e nuove: istanze e rivendicazioni che innescano le frustrazioni e tensioni. Le stesse che hanno generato a più riprese negli ultimi centoventi anni una teoria di guerre capaci di iscrivere definitivamente il termine di "pulizia etnica" nel vocabolario dell'orrore umano e di spostare la guerra dal catalogo dei certissimi problemi a quello delle illusorie soluzioni.
Il papato sa di avere davanti a questa tentazione della forzatura - destinata a incubare violenza - una grande responsabilità. Nel 1991 Giovanni Paolo II si fece guidare da quella inclinazione al vittimismo eroico che la storia polacca ha scritto nella memoria nazionale. E, credendo di evitare ad un paese cattolico le sofferenze patite dal suo, riconobbe l'indipendenza della Croazia, al di fuori di ogni processo negoziale complessivo. Ma fu un errore non rimediato dalla creazione della scivolosa categoria della ingerenza umanitaria che portò all'intervento militare per rompere l'assedio di Sarajevo.
Francesco aveva visto Covic a giugno scorso. Oggi vedrà insieme tre figure da cui dipende molto del futuro di pace della capitale, che il papa ha ricordato essere stata definita la "Gerusalemme d'Europa" per la coabitazione di sinagoghe, chiese e moschee. E potrà dimostrare, ancora una volta, che il massimo di purezza evangelica e castità produce il massimo impatto diplomatico, dando voce alle vittime e forza alla pace.
L'Italia, presidente di turno Osce in questi mesi, ha proposto che il 24 marzo al cimitero ebraico di Sarajevo le comunità etniche e religiose partecipino alla giornata contro le atrocità commesse contro i diritti dell'uomo con una comune preghiera per tutte le vittime: un appuntamento di grande peso politico giacché l'Europa ha messo la riconciliazione come criterio negoziale. Francesco del nodo della riconciliazione ha fatto un tema centrale della "enciclica sulla pace a capitoli" che ha scritto in questi ormai cinque anni di pontificato. Se aggiungerà un capitolo facendo sentire il peso che solo un amico sa avere, nessuno gliene renderà merito; ma avrà aiutato un paese martoriato e un continente in bilico.
Alberto Melloni

(la Repubblica 24 febbraio)