La madre del bimbo epilettico
"Commossa dai suoi amici ora il loro sistema diventi un modello per le scuole"
BOLOGNA. Da quando ha postato nei social che ai compagni di suo figlio era stato insegnato ad affrontare una sua crisi epilettica in aula - chi deve prendere il farmaco, chi il cuscino, chi deve chiamare il bidello - Barbara Forbicini, 47 anni, è stata travolta da centinaia di messaggi. Medici, insegnanti, altre mamme. E così il lavoro quotidiano di una maestra di Riccione è diventato un modello in tutta Italia: l'epilessia condivisa a scuola.
«Mi ha scritto anche un chirurgo pediatra che vorrebbe replicarla in ospedale», racconta mentre si commuove a pensare a Noah, suo terzo figlio, che deve fare i conti con attacchi che gli ribaltano gli occhi, provocano convulsioni o lo irrigidiscono, ma che ha avuto la fortuna di avere un'insegnante come Elena Cecchini, della primaria Annyka Brandi, che ha saputo coinvolgere la classe sulla sua malattia in modo naturale.
«Tanto da essere straordinario».
Come è venuta a conoscenza degli "incarichi di emergenza" affidati ad ogni compagno?
«Per caso, al ricevimento. In aula ho visto il cartellone con gli incarichi e mi sono commossa. Ho deciso di raccontare questa storia per gratitudine e perché si diffonda in altre scuole. Non mi aspettavo tanta risonanza».
Cosa chiede chi le ha scritto?
«La condivisione di questa esperienza. Mi ha toccato la testimonianza di una mamma: sua figlia per fare l'insulina a scuola viene portata in un'aula a parte, come fosse qualcosa di cui vergognarsi. Per questo credo che il modo in cui viene accolto mio figlio sia un modello da far conoscere: insegni ai bambini a non avere paura di una malattia, a condividerla. Saranno adulti che non si gireranno dall'altra parte nel vedere qualcuno che sta male».
Quando è cominciata la malattia?
«Ha avuto il primo attacco l'anno scorso, a 8 anni. Fu sconvolgente, sembrava che qualcosa lo stesse portando via. Poi la diagnosi. Ti crolla il mondo addosso, ma reagisci, anche perché questi attacchi sono destinati a sparire in adolescenza. Gli ho insegnato che se una cosa la conosci la puoi combattere. E ogni volta che ha una crisi pesante che lo porta in ospedale, per fortuna non sono mai avvenute in classe, il rientro a scuola è accompagnato da una torta con un supereroe. Lo è lui, ma ora so che lo sono anche i suoi compagni».
La scuola come ha reagito, oltre al mutuo aiuto in classe, a questa malattia?
«Quando è in ospedale la maestra gli manda i messaggi vocali dei suoi compagni che lo incoraggiano. Quando escono lui è l'apri-fila: tutti lo tengono d'occhio. Alla base c'è una maestra che ha saputo trovare il modo giusto. Ha raccontato che Noah aveva un'intelligenza che cresceva così in fretta da andare in tilt ogni tanto. Un giorno che mio figlio aveva mal di testa una bimba ha commentato: mi sa che l'intelligenza sta correndo. Una lezione di vita. Un genitore da solo può fare una parte, ma ci vuole una società intorno per crescere i figli con solide radici».
Ilaria Venturi
(la Repubblica 8 aprile)
"Commossa dai suoi amici ora il loro sistema diventi un modello per le scuole"
BOLOGNA. Da quando ha postato nei social che ai compagni di suo figlio era stato insegnato ad affrontare una sua crisi epilettica in aula - chi deve prendere il farmaco, chi il cuscino, chi deve chiamare il bidello - Barbara Forbicini, 47 anni, è stata travolta da centinaia di messaggi. Medici, insegnanti, altre mamme. E così il lavoro quotidiano di una maestra di Riccione è diventato un modello in tutta Italia: l'epilessia condivisa a scuola.
«Mi ha scritto anche un chirurgo pediatra che vorrebbe replicarla in ospedale», racconta mentre si commuove a pensare a Noah, suo terzo figlio, che deve fare i conti con attacchi che gli ribaltano gli occhi, provocano convulsioni o lo irrigidiscono, ma che ha avuto la fortuna di avere un'insegnante come Elena Cecchini, della primaria Annyka Brandi, che ha saputo coinvolgere la classe sulla sua malattia in modo naturale.
«Tanto da essere straordinario».
Come è venuta a conoscenza degli "incarichi di emergenza" affidati ad ogni compagno?
«Per caso, al ricevimento. In aula ho visto il cartellone con gli incarichi e mi sono commossa. Ho deciso di raccontare questa storia per gratitudine e perché si diffonda in altre scuole. Non mi aspettavo tanta risonanza».
Cosa chiede chi le ha scritto?
«La condivisione di questa esperienza. Mi ha toccato la testimonianza di una mamma: sua figlia per fare l'insulina a scuola viene portata in un'aula a parte, come fosse qualcosa di cui vergognarsi. Per questo credo che il modo in cui viene accolto mio figlio sia un modello da far conoscere: insegni ai bambini a non avere paura di una malattia, a condividerla. Saranno adulti che non si gireranno dall'altra parte nel vedere qualcuno che sta male».
Quando è cominciata la malattia?
«Ha avuto il primo attacco l'anno scorso, a 8 anni. Fu sconvolgente, sembrava che qualcosa lo stesse portando via. Poi la diagnosi. Ti crolla il mondo addosso, ma reagisci, anche perché questi attacchi sono destinati a sparire in adolescenza. Gli ho insegnato che se una cosa la conosci la puoi combattere. E ogni volta che ha una crisi pesante che lo porta in ospedale, per fortuna non sono mai avvenute in classe, il rientro a scuola è accompagnato da una torta con un supereroe. Lo è lui, ma ora so che lo sono anche i suoi compagni».
La scuola come ha reagito, oltre al mutuo aiuto in classe, a questa malattia?
«Quando è in ospedale la maestra gli manda i messaggi vocali dei suoi compagni che lo incoraggiano. Quando escono lui è l'apri-fila: tutti lo tengono d'occhio. Alla base c'è una maestra che ha saputo trovare il modo giusto. Ha raccontato che Noah aveva un'intelligenza che cresceva così in fretta da andare in tilt ogni tanto. Un giorno che mio figlio aveva mal di testa una bimba ha commentato: mi sa che l'intelligenza sta correndo. Una lezione di vita. Un genitore da solo può fare una parte, ma ci vuole una società intorno per crescere i figli con solide radici».
Ilaria Venturi
(la Repubblica 8 aprile)