Cari Amici,
l’assedio intorno a papa Francesco si fa più stringente, mentre il suo messaggio oltre muri e posti di blocco continua libero a correre in questo mondo di fuoco. Questa volta la contestazione che gli muovono un cardinale olandese e alcuni vescovi tedeschi è più seria di quella con cui gli si oppose l’assemblea romana del 7 aprile del cardinale Burke. L’attuale contestazione infatti riguarda un punto nodale del programma cristiano, che è l’unità dei cristiani, richiesta e realizzata da Gesù col dono di sé nella notte in cui fu tradito, e poi perduta dalla Chiesa.
La questione è quella della comunione che protestanti e cattolici possano realizzare e vivere insieme. Che ciò avvenga nel servizio reciproco e nella “lavanda dei piedi” è pacifico e ormai largamente praticato in tutte le Chiese, che dal Concilio in poi sono andate molto avanti nell’ecumenismo, sia alla base che ai vertici. Anche ai vertici, dove molte differenze dogmatiche sono cadute; dove è stato “cancellato il ricordo” delle scomuniche, secondo la formula usata dal Concilio; dove si è riconosciuto, dai capi d’Oriente e d’Occidente, che la divisione avvenne perché le Chiese si erano messe in testa di essere il sole, che brilla di luce propria, mentre erano solo la luna che la riflette, e quindi guardavano a se stesse, invece che al Signore; e dove, cinquecento anni dopo la Riforma, esse hanno riconosciuto il bene venuto da Riforma e Controriforma, ma il cattivo venuto dal loro essere “contro”.
Quello che è rimasto invece come limite invalicabile, ai vertici anche se molto meno alla base, è stata la comunione che si attua nello spezzare il pane dell’eucarestia, anche se da tutte le Chiese si afferma che proprio lì bisogna arrivare, perché è solo nella partecipazione a quell’unica mensa che l’unità cristiana veramente si realizza.
Papa Francesco, discretamente, ha cominciato a sgretolare quel tabù. A una donna protestante, che lo interrogava nella chiesa luterana di Roma, ha detto di rispondere lei, col marito cattolico, se fare la comunione insieme ; e parlando nella parrocchia anglicana di Roma (nella quale era stato invitato come vescovo di tutti i cristiani della città), ha detto che le Chiese giovani hanno più vitalità, più coraggio nel dialogo ecumenico, il quale si fa “in cammino” (anche “le cose teologiche” si discutono in cammino). E ha dato come esempio quello che avviene nel cuore dell’Argentina: “Ci sono le missioni anglicane con gli aborigeni e le missioni cattoliche con gli aborigeni, e il vescovo anglicano e il vescovo cattolico di là lavorano insieme, e insegnano. E quando la gente non può andare la domenica alla celebrazione cattolica va a quella anglicana, e gli anglicani vanno alla cattolica, perché non vogliono passare la domenica senza una celebrazione; e lavorano insieme. E qui (e intendeva qui, a Roma) la Congregazione per la Dottrina della Fede lo sa”.
Ora accade che la Conferenza episcopale tedesca ha deciso di emanare una direttiva pastorale che contempla, a certe condizioni, di dare la comunione al coniuge protestante di un coniuge cattolico (i matrimoni misti sono numerosissimi in Germania). Sette vescovi tedeschi, che non erano d’accordo, hanno chiesto che si andasse a discutere la cosa a Roma, dal papa: una questione di tale portata, che riguarda la fede e la pratica dell’intera Chiesa, non può essere decisa da una singola Conferenza episcopale, hanno scritto, perciò volevano una decisione d’autorità. Una missione della Chiesa tedesca è venuta così a Roma, il 3 maggio, ma il papa non ha deciso d’autorità: il prefetto per la Dottrina della Fede, arcivescovo Ladaria, in un incontro “cordiale e fraterno” ha comunicato che il papa, apprezzando l’impegno ecumenico dei vescovi tedeschi, chiedeva “a loro di trovare, in spirito di comunione ecclesiale, un risultato possibilmente unanime”. In tal modo il papa, mentre non poneva preclusioni sul merito, teneva ferma una delle maggiori innovazioni del suo pontificato in attuazione del Concilio, la sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, il decidere insieme e non dal vertice di una piramide (semmai, come disse una volta, si tratta di una piramide capovolta dove “il vertice si trova al di sotto della base”).
Ebbene, in una Chiesa sinodale, come era detto in quella ripresa del Concilio Vaticano II che era l’esortazione “Evangelii Gaudium”, le conferenze episcopali devono essere concepite “come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”.
Secondo due cardinali, l’olandese arcivescovo di Utrecht, Willem Jacobus Eijk, e l’ex prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il tedesco cardinale Muller, ciò metterebbe a repentaglio l’unità e la fede della Chiesa; secondo Muller addirittura ne viene che “la Chiesa cattolica è distrutta” e toccherebbe alla Congregazione per la dottrina della fede farsi “guida del magistero del papa”, il che vorrebbe dire che il papa non sia più papa, ciò che è, questo sì, un totale rovesciamento della dottrina cattolica e romana.
Invece è facile giudicare ciò che è avvenuto. Quando nel cristianesimo delle origini nacque un dissidio nella Chiesa locale di Antiochia riguardo a un punto capitale della fede (che per la salvezza fosse necessaria la circoncisione) si decise di mandare una delegazione, con Paolo e Barnaba, a Gerusalemme, perché la cosa venisse decisa d’autorità da Pietro e dagli altri apostoli ed anziani. Ma loro non decisero per tutte le Chiese, rimandarono la delegazione ad Antiochia aggiungendovi Giuda e Sila, perché la decisione fosse presa in quell’assemblea, non secondo la pretesa restrittiva dei credenti che venivano dalla setta dei farisei, non avallata da Gerusalemme, ma secondo la lungimiranza di Pietro per il quale non si doveva imporre alcun giogo degli uni sugli altri, non avendo Dio, “che conosce i cuori, fatto alcuna discriminazione tra noi e loro”. Così papa Francesco ha rimandato la decisione alla Chiesa tedesca, ben sapendo, come aveva detto Pietro che “noi per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, come loro”.
Perciò bisogna fare come a Gerusalemme. Come nella Gerusalemme di allora, perché dalla Gerusalemme di oggi viene tutt’altro che pace ma, anche grazie all’istigazione di Trump, viene oppressione conflitto e morte.
Sulla questione tedesca pubblichiamo un’intervista chiarificatrice di Andrea Tornielli al cardinale Kasper.
Con i più cordiali saluti
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