Oggi
stelle cadenti, viaggio dall’antica Grecia al Cristianesimo
LA
NOTTE DI SAN LORENZO E L’ASCESI DELLO SGUARDO
Nel
mondo cristiano la notte delle stelle cadenti è una festa della luce
e una celebrazione dello sguardo. In Grecia, e in genere nel
calendario ortodosso, è associata alla contigua festa della
Metamorphosis, ossia della Trasfigurazione, quando Cristo sul
Tabor appare ai discepoli in una mandorla accecante di luce.
Un’esortazione, nell’esegesi teologica bizantina e poi russa,
alla metamorfosi dello sguardo, all’esercizio de quella capacità
di percepire la struttura spirituale delle cose, di intravedere, come
ha scritto Pavel Florenskij, “tra le crepe del mondo sensibile
l’azzurro delle eternità”, che in altre tradizioni mistiche,
come quella buddista, è chiamato appunto “retto sguardo”.
Mea
nox obscurum non habet, sed omnia in luce clarescunt, recitano,
in metrica classica, i Vespri della liturgia di San Lorenzo: “la
mia notte non ha oscurità, ma tutto nella luce diventa chiaro”.
Quello di Lorenzo, uno dei sette diaconi martirizzati a Roma nel
Terzo secolo, secondo la leggenda agiografica è il sacrificio dei
sacrifici: oltre ai tratti del olocausto pagano (Lorenzo fu “cotto”,
arso vivo sul fuoco come un’antica hostia animale) conserva, anche
nella tradizione cristiana, un elemento cannibalesco, come ricorda la
frase che secondo il De Officiis di Ambrogio pronunciò
durante il supplizio: Assum est. Versa et manduca, “Questa
parte è cotta. Gira e mangia”.
Secondo
la tradizione popolare sono le lacrime di san Lorenzo, o le scintille
di fuoco sprigionate in alto dalla graticola, le scie luminose dello
sciame meteorico più visibile dell’anno, che la Terra nella sua
rivoluzione si trova ad attraversare tra la fine di luglio e la
seconda metà di agosto, con un picco di visibilità concentrato,
appunto, questa notte. In età più antica questa pioggia di luce è
stata interpretata anche altrimenti. I romani le ritenevano spruzzi
di bianco sperma del dio Priapo, sparsi a inseminare i campi,
associati quindi alla grande festa della divinità femminile
fecondatrice della terra che cade tra pochi giorni, il 15 agosto. Il
radiante della pioggia meteorica, ossia il punto dal quale sembrano
provenire tutte le scie, è nella costellazione di Perseo. Per questo
le stelle cadenti si chiamano Perseidi, richiamando il mito antico
della decapitazione della Gorgone Medusa, il cui sguardo fisso nel
nostro ci impedisce di guardare rettamente il mondo, ci pietrifica e
ci inocula la morte nei occhi, secondo la definizione di Jean-Pierre
Vernant. Anche nel mito greco cui gli astronomi ottocenteschi
associano queste particelle siderali, rilasciate da un’antica
cometa durante le sue passate orbite, si celebra dunque la
liberazione dello sguardo.
Che
si tratti di Ulisse o del pastore errante nell’Asia, del salmista o
di Elia rapito sul carro, da sempre lo sguardo umano si è diretto al
cielo. Se è nell’immenso ricamo astrale che ogni sapienza antica
riconosce il disegno dei suoi eventi sacri, è nel cielo stellato
sopra di sé che i navigatori dei mari o dei deserti, gli ispirati o
i mistici trovano la propria rotta nel mondo esteriore così come il
retto orientamento interiore.
Se
è alla vertigine cosmica che il filosofo affida la sua visione del
mondo, se oggi le luci delle città oscurano il cielo, se la scienza
moderna chi insegna che è di stelle morte anche da migliaia e
migliaia di anni la luce che arriva allo sguardo dei terrestri, è
ancora più necessario, una volta l’anno, rivolgerlo a questo
universale, letterale simbolo di caducità.
Come
scriveva Pascoli: “E tu, Cielo, dall’alto dei mondi / sereni,
infinito, immortale, / oh! d’un pianto di stelle lo inondi /
quest’atomo opaco del Male”.
Silvia
Ronchey
BUON
FERRAGOSTO
L’ULTIMA
DELLE FESTIVITÀ PAGANE
Nell’antica
Roma portavano il nome di feriae i giorni consacrati agli dèi, e
come tali interdetti allo svolgimento delle attività ordinarie.
Cicerone spiegava ansi, più precisamente, che durante le feriae i
liveri dovevano astenersi dalle liti e dalle dispute, gli schiavi dal
lavoro e dalle fatiche. Nei giorni dedicati agli dèi, le feriae, si
svolgevano sacrifici, banchetti, si celebravano ludi: insomma, si
faceva festa. Ma allora perché in italiano “feriale” indica
l’opposto, ossia il carattere non festivo, lavorativo, di una
giornata, in opposizione a quello festivo? I cammini delle parole
spesso sono tortuosi, e anche in questo caso è così. Accade infatti
che i cristiani, per evitare i nomi “pagani” dei giorni, li
ridefinirono chiamandoli con il nome di feria (festa, in quanto
dedicata a un santo) seguita da un ordinale, dal lunedì al venerdì:
secunda feria, tertia feria, e così via, uso che il portoghese
conserva ancora. L’aggettivo “feriale” deriva dunque da “feria”
nel senso di giorno della settimana, non da quello di festa: per cui
in italiano feriale indica il giorno non festivo.
Quanto
al Ferragosto, il nome deriva dalle feriae Augusti istituite da
Augusto nel 18 a. C. L’intento politico di questa scelta è
evidente: un giorno dedicato agli dèi, come tutte le feriae, ma
intitolato all’imperatore, mandava un messaggio discutibile.
Originariamente la festa era collocata il primo del mese, cioè alle
kalendae di Agosto, fu la Chiesa a spostarla al 15 per farla
coincidere con la festività dell’Assunta. Per quanto in parte
cristianizzata, per via dello spostamento della data, il Ferragosto,
erede delle Feriae Augusti, è dunque l’unica festa “pagana”
che resiste, e bene, nel nostro calendario. Con la speranza che gli
italiani, per questo giorno, si astengano da lite e dispute, come
prevedeva l’uso antico.