sabato 22 settembre 2018

L'India ci ripensa l'amore gay non è più un reato


CHENNAI. L'India festeggia un piccolo miracolo in un Paese dove gli intellettuali avevano cominciato a temere il risorgere del fantasma nazionalista e ultrareligioso.
Ieri una sentenza della Corte Suprema ha dichiarato che l'omosessualità non è più un crimine né un "disturbo mentale", come la consideravano appena cinque anni fa altri giudici quando dagli stessi scranni ripristinarono un articolo dell'era coloniale antico di oltre un secolo e mezzo nel tentativo surrealistico di porre un freno legale alle tendenze sessuali degli individui. Quella norma nota come Sezione 377 era «irrazionale, indifendibile e manifestamente arbitraria», ha detto ieri il capo della giustizia indiana Dipak Misra.
Il «passaggio d'ingresso dell'India nel 21esimo secolo», come l'ha definito una popolare tv nazionale, è cominciato alle 11,30 di ieri mattina quando i giudici hanno letto lo storico verdetto votato all'unanimità.
C'erano state settimane di discussioni a porte chiuse dei magistrati e alle spalle decenni di lotte dei gay indiani, che alla lettura delle motivazioni sono scesi spontaneamente nelle strade e nelle piazze dell'India, da Chennai a Delhi, a Mumbai e Bangalore, hanno pianto e gridato di gioia, e descritto ai cronisti «l'orgoglio di non doverci più sentire dei criminali ed essere trattati finalmente come esseri umani come tutti gli altri».
A riconoscerlo a chiare lettere è la frase più lapidaria dei cinque togati: «Qualsiasi discriminazione basata sulla sessualità equivale a una violazione dei diritti fondamentali». Non solo. «Il rapporto sessuale consensuale tra gli adulti, sia omosessuale che eterosessuale, nello spazio privato, non danneggia in alcun modo la decenza o la moralità pubblica». La differenza con le motivazioni della precedente sentenza è abissale.
Ripristinando la legge del 1861, la Corte del 2013 bandiva «il rapporto carnale contro l'ordine della natura con qualsiasi uomo, donna o animale», un chiaro riferimento al sesso omosessuale.
Ecco invece cosa hanno detto i cinque giudici ieri: «Il rispetto per la scelta individuale è l'essenza della libertà, la comunità Lgbt possiede gli stessi diritti previsti dalla Costituzione». Un abisso culturale colmato in appena cinque anni considerando le dimensioni dell'India, fatti salvi i casi di reato ribaditi anche nell'ultima sentenza, cioè «il rapporto carnale con i bambini, gli animali e la bestialità».
Quando influenti membri della comunità gay presentarono l'esposto alla Corte «traumatizzati dalla possibilità di un arresto», contro di loro si schierarono influenti comunità cristiane al fianco di gruppi fondamentalisti hindu.
Nonostante le promesse nessuno dei governi del Congresso e del Bjp era riuscito a varare una legge che eliminasse il famigerato art. 377, e nella motivazione i giudici non hanno mancato di farlo notare. «La Corte — hanno scritto — non può aspettare che un governo maggioritario decida di emanare, modificare o abbattere una legge se viola i diritti fondamentali».
Raimondo Bultrini

(la Repubblica 7 settembre)