Le parole per dirlo
"Il silenzio non è stato di quiete, ma una tensione"
"Il silenzio non è stato di quiete, ma una tensione"
(Erri De Luca)
Sono venuto tre giorni in monastero. Sono a Pra d'Mill. È notte. I monaci dormono da almeno due ore. Ho fatto un giro fuori: un silenzio denso. Una splendida luna piena in cielo. Ritorno nella mia celletta. Silenzio. Ho bisogno, almeno una volta all'anno, di ritirarmi in monastero. È un po' casa mia, da tanti anni. Arrivo e il primo giorno la mente continua a lavorare, a pensare alle tante questioni lasciate a Pinerolo. Mille volti passano nella mente. Poi, il secondo giorno, il silenzio inizia a conquistarmi, ad avvolgermi, a curare il mio animo. Il terzo giorno inizio a sentire il sapore intenso di una Presenza. Che emerge dal silenzio, dai momenti di preghiera con i monaci, dal loro canto avvolgente e leggero. Qui tutto è molto essenziale. Così, liberato dalla fretta delle troppe cose da fare e dal peso delle troppe cose da gestire ritrovo la genuinità delle cose essenziali. Come diceva Lutero, posso davvero ripetere con sorpresa e con gioia: «Sono vivo, Dio esiste; mi stupirei di essere triste». E, poggiando sulle cose essenziali, posso tornare a sognare, a fare progetti, a credere al futuro. Posso tornare a casa carico di attese. Perché il silenzio non è solo uno stato di quiete, ma è la sorgente della tensione: nel silenzio emergono domande e attese profonde.
Oggi mi ha accompagnato la lettura di un bel libro: "Elogio della sete". L'autore elogia la nostra sete e ci invita a sentire la voce della sete profonda che ci abita, cioè del nostro desiderio profondo. Dice: "Non è la sete che ci fa morire alla vita: la sete ci insegna l'arte di cercare, di imparare, di collaborare, la passione di servire. Quando rinunciamo alla sete, allora cominciamo a morire. Quando desistiamo dal desiderare, dal trovare gusto negli incontri, nelle conversazioni, negli scambi, nell'uscita da noi stessi, nei progetti, nel lavori, nella preghiera stessa. Quando diminuisce la nostra curiosità per l'altro, la nostra apertura all'inedito, e tutto ci risuona come un riscaldato déjà vu che avvertiamo come un peso inutile, incongruo e assurdo, che ci schiaccia. Si direbbe che siamo allora passati a vivere con un cartellino sulla fronte che dice: 'Non ci sono, o non voglio esserci, o non riesco ad esserci per nessuno'. Ci sentiamo in una sorta di prostrazione, che si può manifestare in gradi più o meno intensi, ma che può essere descritta come un disinvestimento nel cammino spirituale che percorriamo". Venire in monastero significa risvegliare la sete. E stare in questo silenzio e in questo intenso clima di fede ridona la voglia di vivere. E di dare fiducia alla vita. Questi monaci vivono apparentemente "di niente" e "per niente". Eppure sono sereni. Questo mi colpisce sempre, dalla prima volta che li ho incontrati. Questo mi fa toccare con mano che Dio c'è davvero. Su questa convinzione, ancora una volta rinnovata, posso affrontare il futuro con fiducia e gioiosa attesa.
Derio Olivero, vescovo di Pinerolo
(L'Eco del Chisone)