Paolo
VI nel 1971 definì padre Pio ”il rappresentante stampato di nostro
Signore Gesù Cristo“. Giovanni Paolo II lo definì ”il san
Francesco del secondo millennio“.
Tra ”santi“ collaborano vergognosamente a ”incoronarsi“ santi.
E’
abbastanza indigeribile che abbiano fatto santo uno come papa
Woytila, ma ora nella chiesa cattolica un papa si assicura di essere
santificato se ”santifica“ uno o due suoi predecessori. Così
funziona l’azienda vaticana delle santificazioni.
Un
”santo“ attira gente, ma si possono almeno sollevare due domande?
Non sarebbe bene chiudere in vaticano e nelle varie sedi preparatorie
”la fabbrica dei santi“ cioè la congregazione che lavora a pieno
tempo per certificare le ”grazie ricevute“ e i ”miracoli “?
Molti
ecclesiastici e laici lavorano a questo scopo ed esiste tutta una
lunga gradinata prima di arrivare alla proclamazione-santificazione:
venerabile servo di Dio, beato, santo. Il tutto si fa con tanto di
addetti, scelti e pagati, per ”fabbricare“ il santo… E poi chi
è ”santo subito“ e chi arriva dopo 50 o 150 anni… o chi, come
spesso avviene ora, viene ”santificato“ in un gruppo come martiri
o confessori della fede.
Ma
mi preme ancora di più un’altra domanda: è evangelico dividere il
popolo di Dio tra gente comune e specialisti della virtù? Credo che
questa operazione (santo/a spesso è chi porta onore all’istituzione
o viene da essa recuperato/a dopo la sua morte) è una
discriminazione antievangelica.
Siamo sempre e tutti/e semplici
uomini e donne, con i nostri pregi e i nostri difetti. Semmai può
essere utile e stimolante per una comunità di fede ricordare i
testimoni fedeli, senza mai farne dei santi. Così siamo davanti a
Dio, in questa uguaglianza di figli e figlie che contraddice lo
statuto di superuomini della virtù. Non camminiamo verso la
”santificazione“, ma verso la nostra conversione.
Franco Barbero