domenica 28 ottobre 2018

Il caso. La frattura nella Chiesa ortodossa. E spaventa Putin
Dopo un millennio un altro scisma a Oriente. E spaventa Putin

È il primo atto di quello che è stato definito il più grande scisma nel Cristianesimo in un millennio. Kirill, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, capo della Chiesa ortodossa russa, ha "sospeso la 'Comunione eucaristica" con Costantinopoli. Il linguaggio suona arcaico perché lo è. I riti della Chiesa ortodossa, che conta circa 300 milioni di fedeli nel mondo, risalgono al Concilio di Calcedonia del 451 d.C., ben prima dello scisma che nel 1054 portò alla divisione tre Chiesa d'Occidente e d'Oriente. Se la rottura segue miti millenari, le sue radici sono ben radicate nella geopolitica del presente. La decisione di Kirill annunciata durante il Sinodo a Minsk, in Bielorussia, arriva dopo che lo scorso 11 ottobre il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I ha concesso l'autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina. Ora molti temono che i dissidi possano sfociare nella violenza".
Al momento a Kiev esistono tre rami: due Chiese scomunicate e non canoniche - la Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Kiev guidata da Filarete e la Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina di Macario - e la Chiesa ortodossa ucraina sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca. Bartolomeo I ha riabilitato Filarete e Macario che dovranno unire le loro congregazioni alla Chiesa ortodossa ucraina canonica. Di fatto revoca una decisione del 1686 che poneva Kiev sotto la giurisdizione di Mosca.
Con sede nell'odierna Istanbul, in Turchia, Bartolomeo I è primus inter pares tra i capi delle tante Chiese autocefale che costituiscono la Chiesa ortodossa orientale. Ha poteri secondi solo a quelli del Papa, compreso quello di riconoscere nuove Chiese autocefale. Eppure in quasi 27 anni di Patriarcato non aveva mai preso una decisione così importante. Ad accelerarla è stata l'annessione russa della penisola di Crimea nel 2014 e la crisi nel Donbass.
Non è la prima volta che Mosca sospende le relazioni con Costantinopoli: successe già nel febbraio 1999 quando lo stesso Bartolomeo aggiunse la Chiesa ortodossa estone alla sua giurisdizione. Ma stavolta la posta in gioco e più alta. La Chiesa ortodossa russa conta 150 milioni di fedeli, ossia la metà nel mondo, e oltre 35mila parrocchie, la metà delle quali in Ucraina. Perderle vorrebbe dire perdere influenza. Non solo per la Chiesa, ma anche per il Cremlino. Non è un caso che il presidente ucraino Petro Poroshenko, che cerca una riconferma alle prossime presidenziali, abbia festeggiato il riconoscimento dell'autocefalia come «1a fine dell'imperialismo moscovita», mentre il leader del Cremlino Vladimir Putin ha convocato un Consiglio di Sicurezza promettendo che «proteggerà gli interessi dei fedeli».
"Sospendere la Comunione eucaristica" vuol dire che il clero della Chiesa russa ortodossa non  potrà più celebrare cerimonie congiunte con il clero del Patriarcato di Costantinopoli e che i fedeli non potranno partecipare ai sacramenti nelle Chiese sotto la giurisdizione di Bartolomeo I. È stata persino stilata una lista di tutte le Chiese dove gli ortodossi russi non potranno più pregare.
Rompere del tutto con Costantinopoli farebbe perdere alla Russia l'accesso al Monte Athos, in Grecia, caro a Putin che lo ha visitato due volte. Di più: secondo i commentatori, potrebbe isolare ulteriormente il devoto leader del Cremlino trasformandolo in un novello Enrico VIII.
Rosalba Castelletti

(la Repubblica 17 ottobre)