Il medico
Paola, primario con il cuore che batte per l'Africa
Ha un figlio grande che studia Ingegneria, ma sono in qualche modo "figli" suoi anche le decine e decine di ragazzini albini di cui da anni si occupa in Tanzania, nella casa famiglia costruita dalle suore nel villaggio di Tabora, a cinque ore di macchina dal primo ospedale. Paola Scagnelli, classe 1962, è primario di radiologia a Lodi, ma il suo cuore batte per l'Africa e per quei piccoli che
hanno un problema genetico legato al colore della pelle, dei capelli e degli occhi, bianchi in mezzo ai neri. Bimbi per questo a rischio di tumori e gravi malattie della vista, ma anche vittime di discriminazioni e di stregonerie. Scagnelli ha deciso che d'estate la sua casa è laggiù, dove le madri arrivano disperate, con i bambini in braccio: «Si è sparsa la voce che qui li aiutiamo e quindi ne continuano ad arrivare». Lei non si ritiene affatto un'eroina e il premio europeo lo vive come un riconoscimento che spetterebbe invece alle suore che gestiscono la struttura dove vivono i suoi piccoli albini. E dovendo spiegare Paola come si sente oggi, ripete: «Sono davvero convinta che la vita mi abbia dato tanto e mi sembra giusto ridare qualcosa. Solo che ho scoperto che ricevo dieci volte tanto e quindi mi sento sempre in debito».
Zita Dazzi
(la Repubblica 9 ottobre)
Paola, primario con il cuore che batte per l'Africa
Ha un figlio grande che studia Ingegneria, ma sono in qualche modo "figli" suoi anche le decine e decine di ragazzini albini di cui da anni si occupa in Tanzania, nella casa famiglia costruita dalle suore nel villaggio di Tabora, a cinque ore di macchina dal primo ospedale. Paola Scagnelli, classe 1962, è primario di radiologia a Lodi, ma il suo cuore batte per l'Africa e per quei piccoli che
hanno un problema genetico legato al colore della pelle, dei capelli e degli occhi, bianchi in mezzo ai neri. Bimbi per questo a rischio di tumori e gravi malattie della vista, ma anche vittime di discriminazioni e di stregonerie. Scagnelli ha deciso che d'estate la sua casa è laggiù, dove le madri arrivano disperate, con i bambini in braccio: «Si è sparsa la voce che qui li aiutiamo e quindi ne continuano ad arrivare». Lei non si ritiene affatto un'eroina e il premio europeo lo vive come un riconoscimento che spetterebbe invece alle suore che gestiscono la struttura dove vivono i suoi piccoli albini. E dovendo spiegare Paola come si sente oggi, ripete: «Sono davvero convinta che la vita mi abbia dato tanto e mi sembra giusto ridare qualcosa. Solo che ho scoperto che ricevo dieci volte tanto e quindi mi sento sempre in debito».
Zita Dazzi
(la Repubblica 9 ottobre)