domenica 11 novembre 2018

L'Amaca di Michele Serra

Quando arrestano un criminale, soprattutto uno stupratore, mi ritrovo a pensare "speriamo che non sia un immigrato, se no ci tocca una nuova raffica di tweet razzisti, e di razzismo in ogni altro formato". Il mio pensiero è uguale e contrario a quello del razzista, che quando arrestano un criminale pensa "speriamo che sia un immigrato, così mi sento legittimato a twittare che bisogna impiccarli tutti".
È un pensiero penoso, è un pensiero rudimentale: per il razzista ma anche per l'antirazzista. La differenza, magari, è che l'antirazzista se ne rende conto, che è penoso augurarsi che il criminale sia un bianco e non un nero. Il razzista no, lui nel pensiero rudimentale ci sguazza, il pregiudizio è casa sua. Se il criminale è nero, i suoi neuroni esultano: "lo dicevo, io!". Se il criminale è bianco, semplicemente non registra l'evento. Entrambi - il razzista e io - siamo schiacciati in questo schemino binario, una miserabile caricatura della realtà, la morte delle sfumature, l'esilio della dialettica. Per me, e immagino per quasi tutti gli antirazzisti, questa riduzione del mondo a uno scontro tra tifoserie è un enorme problema. Per il razzista, no. Questo significa che il razzista sta giocando al suo gioco. È a suo agio. Detta lui le regole. L'antirazzista, invece, si sente a disagio, spiazzato: non aveva previsto che potesse essere importante il colore della pelle di un farabutto. Per questo il razzista è in netto vantaggio.

(la Repubblica 27 ottobre)