venerdì 2 novembre 2018

OPINIONI
LA DERIVA DEL #METOO IN UNA SCUOLA ALLE HAWAII


È UNA PICCOIA storia ignobile, che si svolge nel "paradiso" turistico delle Hawaii, e ha dato un po' di lavoro alle autorità consolari italiane. È tutto documentato nei rapporti di polizia, poi trascritti dai funzionari della Farnesina; niente è lasciato alla fantasia di chi scrive.
Una mamma italiana, avendo la possibilità di farlo, decide di trasferirsi per un anno alle Hawaii e di iscrivere li il figlio alle elementari. Così imparerà l'inglese presto e bene. Il figlio ha imparato molto di più.
In quella scuola il bambino s`invaghisce di una compagna. A modo suo prova a corteggiarla anche se lo ostacola un inglese ancora molto rudimentale. Fa una cosa sbagliata, perché tenta di baciarla. Lei non solo non ci sta ma chiama in soccorso il suo vero fidanzatino, anche lui un bambino delle elementari. Il fidanzatino interroga il piccolo italiano usando la parola "rape", cioè stupro. In sostanza gli chiede se ha tentato di stuprare la bimba. L'italiano, confuso e soprattutto linguisticamente in difficoltà, farfuglia qualcosa che - prontamente filmato con lo smartphone di chi lo interroga - diventa una "confessione di stupro". Il video viene esibito come una prova di colpevolezza davanti alla maestra. E qui, quando entrano in gioco gli adulti, la faccenda si fa più problematica. La maestra trasferisce la pratica dello scandalo alla preside. E la preside non esita un attimo: compone il numero di telefono delle emergenze 911, allerta la polizia. Che arriva a scuola e arresta il bambino italiano, ammanettandolo davanti a tutti i suoi compagni. Mani e piedi immobilizzati, come per un pericoloso criminale adulto che porrebbe aggredire gli agenti. Nuovo dispiegamento di smartphone da parte dei compagnucci di classe, per cui il video dell'arresto in pubblico fa il giro delle Hawaii e ben oltre.
Quando la mamma italiana riesce a farsi assistere, per rintracciare e poi liberate il figlio dal commissariato dov'è detenuto, cominciano le proteste di lei nonché delle autorità italiane che l'assistono. Alle quali seguono le risposte, spiegazioni, giustificazioni. Praticamente tutte identiche. La maestra ha seguito le procedure, che sono molto severe quando c'è anche solo un sospetto di molestie sessuali. La preside? Ha seguito le procedure, idem come sopra. La polizia? Ha seguito le procedure. Perfino l'arresto in manette di un bambino a scuola è previsto. Forse, velatamente, ammettono di avere qualcosa da rimproverarsi, se c'è stato qualche ritardo nel fornire un interprete italiano (ammanettare un bimbo delle elementari non fa una piega, ma non garantire il rispetto delle minoranze linguistiche no, quello non è: politically correct). Tutti hanno la coscienza a posto, nessuno si è macchiato del crimine supremo che sarebbe l'aver sottovalutato un sospetto caso di abusi sessuali. Cioè il bacio rubato a una bambina, che è nella categoria dello "stupro".
Una costante unisce questa vicenda ad altre, e non tutte necessariamente legate al puritanesimo sessuale dell'America. Più in generale, i bambini crescono in un mondo dove gli adulti hanno smesso di fare il loro mestiere. Cioè di fare gli adulti. Quindi di indagare, capire, educare, spiegare, ammonire, castigare se necessario. È tutto troppo faticoso, perfino rischioso. È molto più facile ripararsi dietro i regolamenti, le leggi, le polizie e i tribunali. La maestra e la preside si sono risparmiate fatica e possibili grane, non hanno cercato di farsi raccontare esattamente cos'era successo, di ricostruire un "incidente" dell'universo infantile, di dargli un senso e una logica. Non hanno usato il loro buonsenso e la loro autorità per aprire gli occhi ai bambini. Un mondo dove i grandi hanno paura di fare i grandi: come dev'essere pauroso, per i piccoli.
Federico Rampini
è da molti anni corrispondente di Repubblica da New York, dopo esserlo stato da Bruxelles, San Francisco, Pechino. È autore di una trentina di saggi.

(Il Venerdì 20 ottobre)