C’è una violenza del silenzio
di Enrico Peyretti
La rivista di ricerca spirituale Servitium (www.servitium.it),
fondata da padre Turoldo (io faccio parte della redazione da 27 anni),
sta preparando un numero sul tema “Parola violenta”. Tra gli altri
articoli e note, potrà esserci, se lo spazio lo permetterà, questa breve
nota su “Silenzio violento”, cioè la violenta negazione della parola.
(e.p)
La
relazione tra persone umane è anzitutto linguaggio: ti riconosco perché
ti parlo (con le diverse forme di comunicazione). Se “non ti parlo” (lo
sanno perfettamente i bambini) non ti faccio esistere, non ci sei per
me. "Si parlano" è l'inizio di una relazione di amore. “Non si parlano”
è la fine.
Ma
c'è di più: i buoni cristiani sanno che non si mentisce, non si
calunnia, non si pecca col sesso, non si ruba e, naturalmente, non si
uccide. Ma il silenzio negatore uccide. Gesù equipara all'omicidio l’ira
e l'insulto (Mt 5,21 ss), la parola violenta. Chi non ucciderebbe mai
per inibizione sociale (e paura della condanna), magari lo fa col cuore,
e col silenzio che annulla per lui l'esistenza della persona odiata.
Ora, purtroppo si sa che in “buone” parrocchie e comunità cristiane,
spirituali, progressiste, impegnate (anche nei conventi? non lo so), ci
sono persone che non si parlano, neppure si salutano, ma si evitano
(dove va una non va l'altra), per liti familiari, o precedenti offese
ancora brucianti, o malintesi, o dissensi politici, o addirittura
miserabili questioni di soldi. C'è la pedofilia nel clero, è molto
grave, e denunciarla va molto bene. Ma la discordia stabilizzata,
incancrenita, è forse un male minore per la vita evangelica? Prima della
comunione ci si dà la pace, per andare alla mensa di Gesù col cuore
meglio disposto. Ma c'è anche quella parola evangelica, per cui la pace
viene prima del culto, prima dell'ascolto della Parola, prima della
stessa assemblea ecclesiale: "Posa lì la tua offerta e va’ prima a
proporre riconciliazione a chi ce l’ha con te (magari a torto)” (sempre
in Matteo 5). La pace vale più della preghiera, della Bibbia, della
religione. Vale di più perché è lo scopo.
Bisognerebbe
darsi la pace - sinceramente! - all’inizio dell’Eucaristia,
all’entrata, nel salutarci. Senza pace attiva, lasciando covare
antipatie e avversioni, siamo in peccato. Il nostro bel parlare è
intriso di tacita violenza.
Possono
andare alla comunione i divorziati risposati? Oh che gran problema! Per
questo c'è fior di ultras della tradizione che vogliono buttar giù il
papa. Però si può andare alla comunione con strutture di rancore, muri
di cemento nel cuore, silenzi mortali, tra fratelli della stessa chiesa
di Gesù? Non vedo molti difensori dell'ortodossia che si sbraccino su
questa penosa domanda. Soprattutto, nel popolo cristiano delle
parrocchie, non vedo - ma vorrei sbagliare! - che il maggior impegno sia
l’amore attivo in tutte le relazioni personali, mentre magari ci si
tormenta su altri scrupoli di coscienza, ma non su questo, filtrando il
moscerino e ingoiando il cammello.
Pensando
alla violenza della parola, compiuta con la parola, pensiamo anche alla
violenza della parola negata, che nega il volto dell’altro.
Enrico Peyretti - il foglio n.- 455/2018