sabato 17 novembre 2018

UNA RIFLESSIONE DA RILEGGERE SPESSO


C’è una violenza del silenzio
di Enrico Peyretti

La rivista di ricerca spirituale Servitium (www.servitium.it), fondata da padre Turoldo (io faccio parte della redazione da 27 anni), sta preparando un numero sul tema “Parola violenta”. Tra gli altri articoli e note, potrà esserci, se lo spazio lo permetterà, questa breve nota su “Silenzio violento”, cioè la violenta negazione della parola. 
(e.p)

La relazione tra persone umane è anzitutto linguaggio: ti riconosco perché ti parlo (con le diverse forme di comunicazione). Se “non ti parlo” (lo sanno perfettamente i bambini) non ti faccio esistere, non ci sei per me. "Si parlano" è l'inizio di una relazione di amore.  “Non si parlano” è la fine.
Ma c'è di più: i buoni cristiani sanno che non si mentisce, non si calunnia, non si pecca col sesso, non si ruba e, naturalmente, non si uccide. Ma il silenzio negatore uccide. Gesù equipara all'omicidio l’ira e l'insulto (Mt 5,21 ss), la parola violenta. Chi non ucciderebbe mai per inibizione sociale (e paura della condanna), magari lo fa col cuore, e col silenzio che annulla per lui l'esistenza della persona odiata. Ora, purtroppo si sa che in “buone” parrocchie e comunità cristiane, spirituali, progressiste, impegnate (anche nei conventi? non lo so), ci sono persone che non si parlano, neppure si salutano, ma si evitano (dove va una non va l'altra), per liti familiari, o precedenti offese ancora brucianti, o malintesi, o dissensi politici, o addirittura miserabili questioni di soldi. C'è la pedofilia nel clero, è molto grave, e denunciarla va molto bene. Ma la discordia stabilizzata, incancrenita, è forse un male minore per la vita evangelica? Prima della comunione ci si dà la pace, per andare alla mensa di Gesù col cuore meglio disposto. Ma c'è anche quella parola evangelica, per cui la pace viene prima del culto, prima dell'ascolto della Parola, prima della stessa assemblea ecclesiale: "Posa lì la tua offerta e va’ prima a proporre riconciliazione a chi ce l’ha con te (magari a torto)” (sempre in Matteo 5). La pace vale più della preghiera, della Bibbia, della religione. Vale di più perché è lo scopo.
Bisognerebbe darsi la pace - sinceramente! - all’inizio dell’Eucaristia, all’entrata, nel salutarci. Senza pace attiva, lasciando covare antipatie e avversioni, siamo in peccato. Il nostro bel parlare è intriso di tacita violenza.  
Possono andare alla comunione i divorziati risposati? Oh che gran problema! Per questo c'è fior di ultras della tradizione che vogliono buttar giù il papa. Però si può andare alla comunione con strutture di rancore, muri di cemento nel cuore, silenzi mortali, tra fratelli della stessa chiesa di Gesù? Non vedo molti difensori dell'ortodossia che si sbraccino su questa penosa domanda. Soprattutto, nel popolo cristiano delle parrocchie, non vedo - ma vorrei sbagliare! - che il maggior impegno sia l’amore attivo in tutte le relazioni personali, mentre magari ci si tormenta su altri scrupoli di coscienza, ma non su questo, filtrando il moscerino e ingoiando il cammello.
Pensando alla violenza della parola, compiuta con la parola, pensiamo anche alla violenza della parola negata, che nega il volto dell’altro.

Enrico Peyretti - il foglio n.- 455/2018