Magari
fosse possibile una gigantesca, memorabile class
action,
città per città, stadio per stadio, con la quale le comunità
ferite e danneggiate (oggi Milano, ieri Roma, domani chissà)
chiedono i danni ai capi ultras.
Minoranze violente, pesantemente
infiltrate dalla malavita, che tengono sotto schiaffo maggioranze
impotenti: è il calcio italiano da almeno vent’anni.
Un bene
pubblico (il gioco nazionale, il gioco di tutti) privatizzato a uso
delle guerricciole, delle incursioni, del razzismo esibito, dello
squadrismo rivendicato.
E’
come se nelle autostrade si organizzassero gare automobilistiche
clandestine costringendo il traffico normale a farsi da parte. Ed è
come se nessuno, nei decenni, riuscisse a impedire questo
inaccettabile sopruso: non i tremebondi dirigenti, non i rissosi
presidenti (molti dei quali, per tradizione, non all’altezza del
loro conto in banca, né per linguaggio, né per educazione, né per
etica sportiva), non un potere politico che ha spesso allargato le
braccia.
E che in questo specifico momento con questo specifico
governo, aggiunge alle vecchie inefficienze una inedita e
sorprendente contraddizione: un ministro di Polizia che fraternizza
con gli ultras della sua squadra senza rendersi conto dell’enormità
della gaffe;
oppure, e sarebbe anche peggio, rendendosene perfettamente conto
perché in quelle curve, tra quei giovani maschi dai modi spicci, c’è
una fetta sicuramente consistente del suo elettorato.
Michele
Serra Repubblica
28/12