venerdì 11 gennaio 2019

L'AMACA

Magari fosse possibile una gigantesca, memorabile class action, città per città, stadio per stadio, con la quale le comunità ferite e danneggiate (oggi Milano, ieri Roma, domani chissà) chiedono i danni ai capi ultras. 
Minoranze violente, pesantemente infiltrate dalla malavita, che tengono sotto schiaffo maggioranze impotenti: è il calcio italiano da almeno vent’anni. 
Un bene pubblico (il gioco nazionale, il gioco di tutti) privatizzato a uso delle guerricciole, delle incursioni, del razzismo esibito, dello squadrismo rivendicato.
E’ come se nelle autostrade si organizzassero gare automobilistiche clandestine costringendo il traffico normale a farsi da parte. Ed è come se nessuno, nei decenni, riuscisse a impedire questo inaccettabile sopruso: non i tremebondi dirigenti, non i rissosi presidenti (molti dei quali, per tradizione, non all’altezza del loro conto in banca, né per linguaggio, né per educazione, né per etica sportiva), non un potere politico che ha spesso allargato le braccia. 
E che in questo specifico momento con questo specifico governo, aggiunge alle vecchie inefficienze una inedita e sorprendente contraddizione: un ministro di Polizia che fraternizza con gli ultras della sua squadra senza rendersi conto dell’enormità della gaffe; oppure, e sarebbe anche peggio, rendendosene perfettamente conto perché in quelle curve, tra quei giovani maschi dai modi spicci, c’è una fetta sicuramente consistente del suo elettorato.
Michele Serra Repubblica 28/12