martedì 19 febbraio 2019

MAI PIU' SILENZI SUGLI ABUSI

Roma.«Dobbiamo correre», ripetono da mesi negli uffici della Cei. Il 21 febbraio inizia in Vaticano il vertice di quattro giorni voluto dal Papa per discutere il problema della pedofilia nel clero: una sorta di piccolo sinodo, con i capi di tutti gli episcopati mondiali convocati per riflettere sugli errori commessi e per dettare una nuova linea basata su prevenzione dei pericoli e denuncia dei crimini. All'esterno viene percepito come uno snodo cruciale del pontificato di Francesco, mentre nelle librerie si prepara una fioritura di titoli più o meno sensazionalistici che raccontano e studiano il fenomeno. «Mi permetto di dire che ho percepito un'aspettativa un po' gonfiata», ha dovuto puntualizzare Bergoglio, prima di fissare l'agenda per i lavori dei vescovi: «Primo: che prendano coscienza della sofferenza causata E secondo:« Che sappiano cosa si deve fare, la procedura».
 La Chiesa italiana sa di essere in ritardo su entrambi gli aspetti. «Deve ancora vivere un suo momento di verità», l’ha bacchettata Hans Zollner, gesuita tedesco, membro della Commissione della Santa Sede contro gli abusi. Eppure i sintomi di una pericolosa infezione ci sono da tempo: un rapporto della rete. L’ abuso ha censito in Italia 140 sacerdoti condannati da tribunali civili. Di alcuni si sono perse le tracce,  altri sono stati  trasferiti. Ma in questo scenario nessun vescovo, a differenza dei loro confratelli di altre nazionalità, è finito finora sotto processo. I nemici del Papa aspettano fiduciosi: per loro, i tre chilometri che si snodano lungo la via Aurelia, passano sotto le mura vaticane e arrivano al residenza di Francesco, sono come una lunga miccia. E il palazzo della Conferenza episcopale italiana è il luogo ideale per dar fuoco all’innesco di una bomba che possa creare imbarazzo al   pontefice.
 «Il problema è che le diocesi in Italia sono tante e solo alcune hanno affrontato la questione pedofilia con prontezza e sistematicità, spiega Zollner. A livello nazionale le linee guida più recenti risalgono al 2014 e si limitano a un concentrato di norme canoniche dietro alle quali si possono rifugiare le curie: otto pagine in tutto, nelle quali le vittime sono citate solo in una frase della premessa, mentre un paragrafo ribadisce con chiarezza che «nell'ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l'obbligo giuridico di denunciare all'autorità giudiziaria le notizie che abbia ricevuto». Un approccio impeccabile dal punto di vista giuridico, ma lontano dalla linea di trasparenza chiesta dal Papa. Ne è consapevole anche Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna e presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori appena istituito dai vescovi italiani con il compito di stilare nuove direttive per le diocesi: «Stiamo lavorando per ribaltare la prospettiva» dice il presule. Il documento definitivo sarà consegnato a maggio per essere votato dall'assemblea generale Cei. Alcuni passaggi, però, hanno già preso forma. E una svolta cruciale è prevista proprio nell'approccio con l'autorità civile: le curie, secondo la bozza, dovranno incoraggiare vittime e familiari a rivolgersi alla magistratura, garantendo supporto a coloro che dovessero esitare per la paura di sottoporsi allo stress di un processo. «Un vescovo non ha strumenti per cercare riscontri alle accuse: è giusto che le indagini le compiano le forze di polizia», commenta Ghizzoni. E anticipa che si sta studiando una formula che preveda anche la denuncia d'ufficio: «Siamo tenuti ad avviare un procedimento canonico, ma rivolgersi alla procura civile diventa una necessità, nei casi in cui c’è il rischio che gli abusi si ripetano. Ci sono nodi formali da risolvere, ma non possiamo cadere ancora nell’errore dell’insabbiamento o del classico trasferimento del prete pedofilo in un'altra parrocchia: l'esperienza degli altri Paesi lo ha dimostrato».
 Chi verrà condannato dovrà scontare la pena e affrontare un percorso di recupero: «Il reinserimento nella società è necessario perché l'isolamento e la solitudine sono cause di recidiva» afferma Ghizzoni. «Chi ha commesso abusi magari non sarà più un prete, ma anche da laico deve garantire di avere il controllo di sé. Il fattore psicologico diventerà centrale anche nei seminari, dove verranno introdotti screening obbligatori per individuare negli aspiranti sacerdoti sintomi di pericolose debolezze. La prevenzione viene infatti ritenuta fondamentale. E passa dalla consapevolezza che, in passato, l'ansia di sopperire al calo delle vocazioni ha indotto a commettere errori fatali.
 Si tratta di cambiare mentalità, sottolinea  Gottfried  Ugolini, sacerdote responsabile del Servizio di tutela dei minori della diocesi di Bolzano, una di quelle che padre Zollner cita tra le realtà virtuose: «Bisogna spostare l'attenzione dalla paura degli scandali alla tutela delle vittime», dice. In  Alto Adige già dal 2010 hanno istituito uno sportello al quale le persone che hanno subito abusi possono rivolgersi per raccontare ciò che hanno vissuto e chiedere sostegno psicologico e giuridico. Nei primi periodi sono arrivate oltre venti segnalazioni, alcune risalivano a un passato lontano persino 40 anni, altre erano vicende recenti. Oggi il numero di telefonino del referente dello sportello si può trovare su internet: quando arriva una chiamata si ascolta si cerca.
Andrea Gualtieri           5 febbraio 2019, Il Venerdì di Repubblica