venerdì 15 febbraio 2019

Saluzzo, l'integrazione passa da una caserma per i migranti della frutta
Ai piedi del Monviso, dove nasce il Po, si è sviluppato il più imponente distretto frutticolo del Piemonte e uno dei tre più rilevanti del Nord Italia. Con il passare del tempo, e con l'aumento delle superfici, a partire dagli anni '70 e '80 sono iniziate le migrazioni stagionali: prima uomini che addirittura dal Salento prendevano la strada di Saluzzo, poi albanesi e polacchi, infine, con i frutteti in continuo aumento e gli agricoltori locali diminuiti e invecchiati, hanno iniziato a fluire i braccianti di origine africana. Confagricoltura e Coldiretti confermano all'unisono: al Saluzzese servono ogni anno non meno di dieci-dodicimila lavoratori. Se la quota di lavoratori africani cresce, è perché c'è sempre meno altra manodopera. E non è niente di speciale: nelle stalle della "Padania" sono per lo più indiani a mungere; nelle Langhe e nel Monferrato del vino, i lavoratori sono rumeni e macedoni.

Tutti regolari
Molti di loro avevano un lavoro in aziende manufatturiere andate in crisi dal 2008 e si sono riadattati a lavori stagionali, seguendo i ritmi della campagna: gli agrumi in inverno al Sud, la frutta estiva al Nord. Qui sono arrivati in 8 dieci anni fa. Nel 2018 erano oltre cinquemila. Secondo l'agenzia regionale "Piemonte Lavoro", oltre 4 contratti su 10, in zona, nel 2018 sono stati con braccianti africani. Per anni, queste persone hanno bivaccato alla bene e meglio, quando non hanno trovato nelle cascine il proprio giaciglio. Gli altri accampati alla periferia di Saluzzo da dove partire ogni giorno in bicicletta, per cercare l'ingaggio sperato: una situazione di degrado appena ristorata da iniziative di Comune, Caritas e Coldiretti: Finalmente, nel corso del 2018, Cgil, Comune di Saluzzo e Caritas hanno fatto una scelta coraggiosa e hanno deciso che la realtà non si poteva più ignorare. Per gestire l'ineluttabile è nato il Pas: Prima Accoglienza Stagionali. Un dormitorio, aperto nella ex caserma Filippi, con alcune centinaia di letti, postazioni per cucinare e lavarsi, docce e toilette, mediatori culturali e presidio 24 ore al giorno. Niente di lussuoso e comunque nemmeno per tutti: poco più di 500 hanno trovato anche da dormire, per altri 400 è stato possibile utilizzare solo i servizi essenziali diurni.

Il modello che dà fastidio
Oggi il modello Saluzzo è citato da Landini nella prima intervista televisiva dopo la sua nomina a segretario generale Cgil. Al contempo, i protagonisti della frutticoltura saluzzese, e non  solo, riconoscono la necessità di fare i conti con il bisogno di manodopera e la pragmaticità di averci voluto mettere mano. I frutticoltori ospitano 4 lavoratori su 5, ma per 1000 persone ci sono solo il Pas e l'accoglienza diffusa di quattro comuni, su 46, in cui i braccianti lavorano. Dunque, niente lustrini, ma una dura realtà affrontata seriamente. Eppure non basta. Succede che per ragioni poco nobili si assista a una minaccia insensata e a un ingiustificabile discredito gettato sull'esperienza di Saluzzo.

La minaccia Decreto Sicurezza
Di quei 5000 lavoratori africani che nel 2018 hanno stipulato contratti di lavoro coi frutticoltori, il 30% ha quei permessi di soggiorno per ragioni di protezione umanitaria, oggi aboliti. Chi prenderà il loro posto? Quanti lavoratori, rimessi in clandestinità, si offriranno per lavorare in nero, a qualsiasi condizione, senza tutele?

L'interesse elettorale
Il Ministro dell'Interno parla di turisti di colore che bighellonano. La realtà è del tutto diversa, ma si forma una terribile divaricazione: l'economia sta già ampiamente digerendo e normalizzando il fenomeno migratorio, come sempre, mentre per l'interesse elettorale si mantiene un clima discriminatorio a livello sociale. In questo contesto, la voce di chi oggi ne ha bisogno e quindi lavora con i migranti si leva ancora troppo flebile: di giorno al lavoro con i migranti e la sera silenziosi mentre il fenomeno al bar lancia slogan contro l'invasione. È questa l'essenza del "comodismo": in altri tempi, senza tema di essere tacciati di intellettualismo, qualcuno avrebbe parlato di "zona grigia". D'altra parte, ed ecco l'inattesa convergenza, un certo mondo, in cerca di visibilità per fini apparentemente più nobili, ha interesse a far passare Saluzzo per Rosarno, sottintendendo che gli agricoltori tutti sfruttano la povera manodopera di colore. E questa condanna all'ingrosso legittima la diffidenza e il rancore, invece di favorire l'evoluzione della collaborazione economica in integrazione sociale.
Che la voce di questi attori sia un falsetto lo attestano i dati: nel Pas di Saluzzo si sono registrati 1700 contratti nel 2018. Su questi la Cgil, presente quotidianamente, ha potuto assistere lavoratori impegnati in 90 vertenze: poco più del 5% del totale.
E sì che mancherebbe poco per superare il "comodismo", per far venire allo scoperto i datori di lavoro affinché, finalmente, al bar, in piazza, a casa degli amici dicano che no, non è vero niente che i migranti sono qui per far niente o delinquere; che loro li conoscono e ci lavorano; che possono testimoniare: le mele marce ci sono, come ovunque, ma non si può generalizzare. Chi ha, l'obbiettivo di difendere le prerogative dei lavoratori migranti ha il dovere di contribuire a questo processo, perché non si possono contrapporre alle falsità leghiste altre falsità: dai neri tutti lavativi e parassiti ai bianchi tutti schiavisti e razzisti, il passo è più breve di quanto sembra, con identico contributo al danno.
Solo la personalizzazione del racconto, a scapito delle generalizzazioni ad effetto, può togliere ogni alibi e finalmente spingere l'economia ad imporsi sulla demagogia nel nome della nostra Costituzione, che fonda la Repubblica sul lavoro.
MICHELE A. FINO
Michele A. Fino è professore associato di Diritto Romano e Diritti dell'Antichità all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
(la Repubblica 4 Febbraio)